scarica il file in pdf – pontificato Papa Francesco – aprile 2025 – melis
La Geopolitica del Pontificato di Papa Francesco tra Dialogo e Giustizia Globale
Gianluca Melis[1]
La mattina del 21 aprile scorso il mondo si è svegliato con la notizia della morte di Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio a Buenos Aires in Argentina il 17 dicembre 1936, eletto Papa il 13 marzo 2013, e succeduto a Benedetto XVI dopo le sue storiche dimissioni. Bergoglio è stato il primo Pontefice proveniente dal continente americano, il primo gesuita e il primo a scegliere il nome “Francesco”, richiamando idealmente la figura di San Francesco d’Assisi, simbolo di povertà, pace e solidarietà verso gli ultimi. Sin dai primi momenti del suo pontificato, Papa Francesco ha voluto imprimere uno stile semplice, diretto e vicino alle persone comuni, sottolineando la centralità della misericordia, della giustizia sociale e dell’apertura missionaria della Chiesa.
L’elezione di Papa Francesco è avvenuta in un periodo di grandi cambiamenti globali. Il mondo era ancora profondamente segnato dagli effetti della grave crisi economica iniziata nel 2008 con il fallimento della banca americana Lehman Brothers. Tale crisi, non limitata soltanto all’ambito finanziario, aveva provocato una devastante recessione, con milioni di persone che avevano perso il lavoro o erano costrette a condizioni di vita precarie. In Europa, la crisi si trasformò rapidamente in una drammatica emergenza sociale, con paesi come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia costretti ad applicare severe politiche di austerità. Questa situazione alimentò forti proteste sociali e un crescente senso di sfiducia verso le istituzioni politiche tradizionali, accentuando disuguaglianze e polarizzazione sociale[2].
Parallelamente, il Medio Oriente e il Nord Africa attraversavano una fase turbolenta, iniziata nel 2010 con le Primavere arabe. Queste rivolte, nate per abbattere regimi autoritari e portare maggiore libertà e giustizia, sfociarono in molti casi in gravi conflitti civili, come in Siria e Libia, generando enormi flussi migratori. La crisi siriana, iniziata da pacifiche proteste contro il regime di Bashar al-Assad, degenerò rapidamente in una guerra civile devastante con milioni di profughi e centinaia di migliaia di vittime. Anche la Libia, dopo la caduta di Muammar Gheddafi, si trovò immersa nel caos, diventando un punto di partenza cruciale per migranti diretti verso l’Europa. In Egitto, l’entusiasmo per la rivoluzione che portò alla caduta di Hosni Mubarak lasciò spazio rapidamente a nuove tensioni interne e conflitti politici, culminati nel colpo di stato militare del generale Abdel Fattah al-Sisi nel luglio 2013, lo stesso anno dell’elezione di Papa Francesco.[3]
La crisi migratoria divenne così un’emergenza globale, mettendo in luce profonde tensioni tra i paesi più sviluppati del Nord e quelli più poveri del Sud del mondo. In questo contesto di emergenza umanitaria, Papa Francesco scelse simbolicamente di recarsi a Lampedusa già nel luglio 2013, denunciando con forza quella che definì la “globalizzazione dell’indifferenza“, chiedendo nel contempo maggiore solidarietà internazionale e accoglienza verso i migranti[4]. Il Pontefice non si limitò a messaggi e dichiarazioni: il Vaticano accolse concretamente alcune famiglie di rifugiati e il Papa continuò a esortare governi e comunità internazionali a politiche più umane e solidali.
Negli stessi anni si stava assistendo al ritorno di sentimenti nazionalisti e populisti in molte parti del mondo, accompagnato da una crisi crescente delle istituzioni multilaterali. L’incapacità percepita di organismi come l’Unione Europea e le Nazioni Unite nel gestire efficacemente le crisi globali alimentò chiusure identitarie e una diffusa diffidenza verso la cooperazione internazionale. Francesco affrontò immediatamente e apertamente questi nuovi nazionalismi, definendoli un pericolo per la pace e la stabilità internazionale. Con documenti fondamentali come l’enciclica “Fratelli tutti“, il Papa rilanciò con forza l’importanza della fratellanza, del dialogo interculturale e della cooperazione globale per affrontare sfide come la povertà, il terrorismo, il cambiamento climatico e le migrazioni[5].
Infine, il periodo che precedette il pontificato di Francesco fu segnato anche da una crisi di credibilità delle istituzioni religiose, inclusa la Chiesa cattolica, colpita duramente dagli scandali legati agli abusi sessuali commessi da esponenti del clero. Questo contesto estremamente complesso rese urgente l’impegno del nuovo Papa per ricostruire fiducia e credibilità attraverso gesti simbolici e concreti di trasparenza, semplicità e vicinanza al popolo. Sin dal suo insediamento, Francesco manifestò una volontà chiara di affrontare gli scandali con determinazione, promuovendo riforme interne significative e mostrando personalmente vicinanza alle vittime[6].
In questo scenario globale così difficile e contraddittorio, Papa Francesco ha assunto un ruolo profetico e spesso controcorrente, ponendosi come una voce morale universale, impegnata nella difesa della dignità umana, della pace e della giustizia sociale, al di là delle divisioni ideologiche e politiche.
Ma uno dei tratti più distintivi del pontificato di Papa Francesco è sicuramente l’enfasi posta sul concetto di misericordia, intesa non solo come principio spirituale o teologico, ma anche come autentica categoria politica. Per il Pontefice, essa costituisce un criterio orientativo dell’azione ecclesiale e dell’impegno dei cristiani nella sfera pubblica, capace di offrire risposte concrete e innovative alle sfide globali contemporanee, dalle diseguaglianze economiche alla crisi migratoria, dai conflitti internazionali alla povertà estrema.
Sin dai primi anni del suo pontificato, Papa Francesco ha insistito sul fatto che la misericordia non può essere ridotta a un sentimento astratto o intimistico, ma rappresenta una responsabilità attiva nei confronti dell’altro, in particolare verso i più vulnerabili e marginalizzati della società. Tale visione trova una delle sue espressioni più emblematiche nella Bolla Misericordiae Vultus (2015), con la quale venne indetto il Giubileo straordinario della Misericordia. In essa, il Papa ha affermato che la misericordia è «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa» e che essa deve divenire criterio di discernimento non solo spirituale ma anche sociale e politico[7].
Una caratteristica peculiare dell’approccio di Bergoglio è stata la centralità assegnata ai poveri, agli esclusi e alle periferie esistenziali e geografiche del mondo. La “periferia” non è stata solo un concetto geografico, ma una categoria teologico-politica, rappresentando i luoghi dove la sofferenza umana si manifesta in maniera più evidente e dove l’azione della Chiesa ha bisogno di farsi più prossima e concreta[8]. In numerosi interventi pubblici, il papa denunciò le logiche di scarto, le diseguaglianze sistemiche e le forme di neocolonialismo che hanno impoverito ed emarginato intere popolazioni[9].
In questo contesto si è inserita anche la sua visione della politica internazionale, che si è distinta per un approccio non ideologico ma pastorale. Il Papa non ha proposto una dottrina geopolitica nel senso stretto del termine, né ha aderito alle categorie tradizionali della destra o della sinistra, ma il suo è uno sguardo partito dalla concretezza delle persone e dei popoli, orientato al bene comune e alla pace sociale. Ha promosso nel tempo una politica dell’incontro, fondata sull’ascolto, sul dialogo e sull’accompagnamento dei processi storici, evitando semplificazioni ideologiche e polarizzazioni sterili[10].
Questa impostazione ha trovato applicazione concreta in alcune significative iniziative diplomatiche, tra le più emblematiche vi è sicuramente quella tra Cuba e Stati Uniti, che ha portato alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi nel 2014[11]. Altrettanto rilevante è stato il sostegno della Santa Sede nel processo di pace in Colombia, culminato con gli accordi tra il governo e le FARC[12] nel 2016. In entrambi i casi, la diplomazia vaticana ha agito come forza silenziosa ma efficace, offrendo un contributo morale e logistico fondato sulla fiducia e sulla neutralità della Chiesa[13].
Accanto a questi interventi di alto profilo, la “politica della misericordia” si è manifestata anche attraverso gesti simbolici dal forte impatto morale e comunicativo. Il lavaggio dei piedi ai detenuti, l’accoglienza in Vaticano di famiglie di rifugiati, le visite a luoghi-simbolo come Lampedusa e Lesbo, tutte azioni che hanno testimoniato la ferma volontà del Papa di incarnare la misericordia come prassi quotidiana e visibile[14].
La proposta politica di Papa Francesco non è stata un mero appello morale, ma si è configurata come una riformulazione profetica della politica stessa, intesa come servizio al bene comune globale. La misericordia, in questa prospettiva, è diventata il paradigma attraverso cui riformulare le relazioni internazionali, il linguaggio del potere e la costruzione della pace, sempre a partire dalla dignità umana e dalla solidarietà tra i popoli[15].
La diplomazia vaticana sotto Papa Francesco
Nel panorama delle relazioni internazionali, il pontificato di Papa Francesco si è distinto per un approccio originale e spesso controcorrente. La sua diplomazia non è stata fondata su interessi strategici o logiche di potere, ma su un’autorità morale nata dalla coerenza tra parola e testimonianza. Più che un “Papa geopolitico”, Bergoglio è stato un Papa mediatore, che ha fatto leva sul dialogo, sui gesti simbolici e su una presenza costante accanto alle vittime dei conflitti. In un’epoca segnata dalla frammentazione e dalla sfiducia verso le istituzioni internazionali, la Santa Sede ha cercato di porsi come voce credibile, capace di farsi ascoltare anche laddove il potere delle armi o degli interessi economici sembra prevalere.
Come abbiamo già accennato, uno dei casi emblematici del ruolo diplomatico della Santa Sede è stata la mediazione nel processo di riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba, avvenuta nel 2014. Dopo oltre cinquant’anni di tensioni, i due Paesi ripresero i contatti ufficiali grazie anche al lavoro silenzioso ma decisivo del Vaticano. Papa Francesco inviò lettere personali ai presidenti Barack Obama e Raúl Castro, esortandoli ad aprirsi a un nuovo dialogo. Nel frattempo, la diplomazia vaticana offrì un luogo neutro per i colloqui segreti, contribuendo a creare un clima di fiducia[16]
Un altro frangente in cui l’intermediazione del Papa diede un importante contributo fu quello nel processo di pace tra il governo colombiano e le FARC, una guerriglia armata attiva da oltre mezzo secolo. La Chiesa cattolica colombiana, con il sostegno del Vaticano, accompagnò i negoziati e promosse incontri con le vittime della violenza. Quando Papa Francesco visitò la Colombia nel 2017, il suo messaggio fu netto: “Non abbiate paura del perdono.” La visita si trasformò in un pellegrinaggio di riconciliazione nazionale, in cui il Papa incontrò sia ex guerriglieri che familiari delle vittime, sottolineando il valore della giustizia riparativa[17].
Anche nelle crisi internazionali più complesse, Papa Francesco cercò di farsi promotore di pace attraverso una diplomazia multilivello, fondata sull’ascolto e sulla persistenza. Il caso dell’Ucraina è stato particolarmente delicato: il Papa ha evitato posizioni di netta condanna, suscitando critiche, ma ha mantenuto canali di comunicazione attivi sia con Kyiv sia con Mosca. Nel 2023, affidò al cardinale Matteo Zuppi una missione internazionale che toccò Ucraina, Russia, Stati Uniti e Cina, con l’obiettivo di facilitare l’evacuazione dei civili, il ritorno dei bambini deportati e l’apertura di corridoi umanitari[18].
Un altro terreno cruciale è stato la Siria, dove fin dal 2013 Francesco lanciò un potente appello contro l’uso della forza. In quell’occasione, organizzò una veglia di preghiera in Piazza San Pietro che coinvolse centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Il Papa parlò con parole dure contro “coloro che vogliono la guerra”, denunciando le logiche economiche e strategiche che alimentano i conflitti[19].
Nel contesto della Terra Santa, il Pontefice ha dato grande importanza ai gesti simbolici. Durante il suo viaggio in Israele e Palestina nel 2014, invitò nei Giardini Vaticani i presidenti Shimon Peres e Mahmoud Abbas a un incontro di preghiera. La scena, con i tre leader che piantano insieme un ulivo, divenne un’icona della “diplomazia spirituale” di Francesco: non una soluzione politica, ma un appello visibile alla convivenza[20].
La diplomazia vaticana sotto Papa Francesco si è confrontata anche con i giganti della scena mondiale. In Cina, il Papa scelse la via del dialogo, firmando un accordo provvisorio nel 2018 (poi rinnovato) per la nomina dei vescovi. Lo scopo era ricomporre la frattura tra la Chiesa “ufficiale” riconosciuta dal governo e quella “clandestina”, fedele a Roma. L’accordo fu oggetto di critiche, anche dentro la Chiesa, per il rischio di “cedere” troppo alle autorità cinesi[21].
Anche nei confronti della Russia, il Papa ha mantenuto una linea di apertura. Storico fu l’incontro del 2016 con il patriarca ortodosso Kirill (Cirillo I) a Cuba, il primo tra un Papa e il capo della Chiesa ortodossa russa. Nonostante le difficoltà legate all’invasione dell’Ucraina, la Santa Sede ha sempre continuato a credere nel dialogo e ad interloquire con Mosca[22]
I rapporti con gli Stati Uniti hanno alternato fasi di sintonia e momenti di tensione. Con l’amministrazione Obama, Francesco trovò un alleato su temi come il clima e i diritti sociali. Con Trump, le divergenze furono più marcate, specie su migrazione e diritti umani. Con Biden, cattolico praticante, il dialogo è stato più costante, anche se su alcune questioni bioetiche persistono visioni differenti[23]. Purtroppo le cattive condizioni di salute del Pontefice, hanno fatto sì che negli ultimi tempi, l’impegno nel contesto internazionale, anche in vista della recente rielezione di Trump, fosse sensibilmente ridotto.
Dialogo interreligioso e interculturale
Uno dei pilastri del pontificato di Papa Francesco è stato il dialogo con le altre religioni, promosso come strumento essenziale per la costruzione della pace, la difesa della dignità umana e la convivenza tra i popoli. Questo approccio si è fondato sull’insegnamento conciliare (Nostra Aetate, 1965) ed ha trovato in Papa Francesco un interprete attivo e profetico.
Nel febbraio 2019, durante il viaggio apostolico negli Emirati Arabi Uniti, il Papa incontrò lo Shaykh Ahmad al-Tayyeb, Grande Imam di al-Azhar, uno degli interlocutori islamici più autorevoli nel mondo sunnita. L’incontro ebbe quale epilogo la firma della Dichiarazione sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, con l’affermazione che “la fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare”[24].
Il documento, accolto favorevolmente anche in sede ONU[25] e citato nell’enciclica Fratelli tutti, è stato definito dal Papa «un documento profetico» e «nato dalla fede in Dio che è Padre di tutti e Padre della pace»[26].
Nel marzo 2021, Papa Francesco ha compiuto un viaggio storico in Iraq, primo Pontefice a visitare la terra di Abramo e a rafforzare il dialogo con l’Islam sciita. Il culmine simbolico è stato l’incontro a Najaf con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, guida spirituale dell’Islam sciita duodecimano. I due leader discussero di convivenza, tolleranza e tutela delle minoranze. Dopo il colloquio, la Santa Sede sottolineò come il Papa abbia ringraziato l’Ayatollah per aver “alzato la voce in difesa dei più deboli e perseguitati durante i periodi di grande violenza”[27].
Questo incontro ha rappresentato un inedito avvicinamento al mondo sciita, consolidando il ruolo della Santa Sede come attore morale nel dialogo tra religioni in contesti di crisi.
Papa Francesco ha dato poi nuovo impulso al cammino ecumenico. L’incontro con il Patriarca di Mosca Kirill (L’Avana, 2016) è stato il primo nella storia tra i capi delle Chiese cattolica e ortodossa russa, accompagnato da una dichiarazione congiunta che afferma: “Non siamo concorrenti, ma fratelli”[28]. I rapporti con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli si sono rafforzati grazie alla profonda amicizia con Bartolomeo I.
Sul versante ebraico, il Papa ha affermato che “un cristiano non può essere antisemita”[29] e ha ribadito che “con il popolo ebraico abbiamo un rapporto che non può essere sciolto, perché Dio è fedele nelle sue promesse”[30]. Nella Evangelii Gaudium si legge: “La Chiesa guarda con affetto al popolo dell’alleanza e al suo cammino di fede”[31].
Il dialogo interreligioso promosso da Papa Francesco non è soltanto un’espressione di apertura teologica o di testimonianza cristiana nel mondo, ma costituisce anche una leva strategica nella geopolitica vaticana contemporanea. Attraverso il linguaggio della fraternità, della giustizia sociale e della difesa dei diritti umani, il pontefice ha costruito canali diplomatici alternativi, spesso più efficaci di quelli tradizionali in contesti segnati da conflitti etnico-religiosi.
L’incontro con il Grande Imam al-Tayyeb ha consolidato il ruolo della Santa Sede nel mondo arabo sunnita, mentre il dialogo con al-Sistani ha rappresentato un’apertura senza precedenti al mondo sciita. Ciò ha permesso al Vaticano di assumere una funzione di “mediazione morale” in scenari come l’Iraq, la Siria o il Libano, dove la presenza di attori religiosi è centrale nei processi decisionali[32].
L’approccio di Papa Francesco non è stato teso al sincretismo, ma miva a costruire alleanze fondate su valori condivisi – pace, dignità, libertà religiosa – rafforzando l’influenza della Santa Sede nel mondo, in una forma di soft power coerente con la propria identità spirituale.
Impegno per la pace e la giustizia sociale
Papa Francesco ha saputo declinare il messaggio evangelico in una forma fortemente ancorata alla realtà del nostro tempo, facendo del suo pontificato una costante testimonianza a favore della pace, della dignità umana e della giustizia sociale. Il suo linguaggio diretto e profetico ha spesso assunto i tratti della denuncia, mai senza aspre critiche, ma anche della proposta costruttiva, orientata a una trasformazione radicale delle relazioni tra popoli, Stati, comunità religiose e individui.
A partire dalla Evangelii Gaudium (2013), il Papa ha posto con forza la questione dell’esclusione sociale come radice di molte ingiustizie e instabilità. Egli denuncia “un’economia che uccide” e invita a un cambiamento strutturale che rimetta al centro la persona umana, specialmente i più fragili e vulnerabili[33]. Questa visione è stata ripresa e sviluppata nelle successive encicliche, in particolare nella Laudato si’ (2015) e nella Fratelli tutti (2020), che non solo affrontano i temi ambientali e della fraternità, ma li intrecciano con una critica coerente e sistematica agli attuali modelli di sviluppo, consumo e potere.
Il Pontefice non si è limitato alla teoria: i suoi gesti concreti — come l’abbraccio ai migranti sull’isola di Lampedusa, la visita nei campi profughi di Lesbo o nei quartieri poveri delle metropoli latinoamericane — sono diventati parte integrante del suo magistero, mostrando una Chiesa che non parla solo dei poveri, ma sta con i poveri[34].
La pace, per Papa Francesco, non è uno stato da raggiungere una volta per tutte, ma un processo quotidiano, una costruzione fragile e complessa che si basa su giustizia, verità, memoria e riconciliazione. In questo senso, egli ha insistito sulla necessità di superare una visione conservativa della pace, intesa solo come assenza di conflitto, per abbracciare invece un impegno attivo per disinnescare le cause profonde della violenza.
Nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2017, ha proposto inevitabilmente la nonviolenza come stile di politica per la pace, riconoscendola però non come atteggiamento passivo, ma come strumento efficace di trasformazione sociale[35]. Tale visione si radica in esempi storici come quelli di Martin Luther King, Gandhi e Mandela, ai quali spesso ha fatto riferimento.
Un’altra prospettiva originale introdotta dal Papa è quella della giustizia riparativa, che riconosce l’importanza della memoria ma rifiuta la logica del risentimento e della vendetta. In particolare, nei contesti di post-conflitto, come la Colombia o il Sud Sudan, egli ha promosso il dialogo, il perdono e l’inclusione come elementi essenziali per una pace duratura[36].
Papa Francesco ha inoltre spesso parlato di una “globalizzazione dell’indifferenza”, espressione ormai divenuta iconica, per indicare un sistema internazionale che tende a ignorare le sofferenze altrui quando non riguardano direttamente gli interessi dei Paesi più potenti[37]. Ha condannato l’accumulo di armi, le politiche di chiusura verso i migranti, il neocolonialismo economico e la cultura dello scarto che colpisce anziani, disabili, disoccupati e poveri.
In questo senso, la diplomazia vaticana sotto il suo pontificato si è distinta per una presenza discreta ma continua nei processi negoziali e nelle crisi dimenticate, spesso agendo come mediatrice neutrale o portatrice di istanze morali. È il caso del ruolo svolto nella normalizzazione dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti (2014), nella mediazione tra governo venezuelano e opposizione, e nei ripetuti appelli per il disarmo nucleare, culminati con la visita a Hiroshima e Nagasaki nel 2019[38].
Ambiente e relazioni internazionali
L’enciclica Laudato si’, diffusa da Papa Francesco nel 2015, rappresenta un punto di svolta nella riflessione ecclesiale e internazionale sui temi ambientali. Non si tratta solo di un documento teologico, ma di un manifesto globale per una nuova visione dell’ecologia, che Papa Francesco definisce “ecologia integrale”. Il testo non si limita a denunciare la distruzione dell’ambiente, ma mette in luce il legame profondo tra degrado ambientale, povertà, disuguaglianza e conflitti. È un appello universale che interpella non solo i credenti, ma tutta l’umanità.
Uno degli aspetti più innovativi dell’enciclica è stato infatti l’approccio sistemico ai problemi ambientali. Il pontefice rompe con l’idea che la crisi ecologica sia un tema di nicchia per scienziati o ambientalisti e invita a riconoscere che “tutto è connesso” — dalla qualità dell’acqua potabile all’ingiustizia sociale, dalle emissioni industriali al destino delle comunità indigene. L’enciclica recupera la tradizione francescana di rispetto per la creazione, ma la sviluppa in chiave moderna, riconoscendo le sfide della globalizzazione e dell’economia estrattiva.
Questa visione innovativa della problematica ambientale ha avuto un impatto notevole non solo nel mondo religioso, ma anche nelle agende politiche e accademiche internazionali. L’ecologia integrale proposta dal Papa offre una visione etica e spirituale capace di unificare diverse discipline e prospettive, promuovendo un cambiamento culturale profondo. Il testo ha influenzato anche leader politici e movimenti ecologisti, ricevendo riconoscimenti da scienziati e intellettuali laici per la sua chiarezza e radicalità.
Papa Francesco insiste su una verità spesso trascurata: i primi a soffrire le conseguenze dei cambiamenti climatici sono i poveri. Alluvioni, desertificazione, innalzamento del livello dei mari e disastri ambientali non colpiscono tutti allo stesso modo. In molte aree del pianeta, questi fenomeni generano migrazioni forzate, carestie, guerre per l’acqua e per la terra. L’ambiente, quindi, non è un “tema green”, ma un tema umano, profondamente intrecciato con le questioni della giustizia, dei diritti umani e della pace.
In Laudato si’, questa connessione è esplicitata con forza: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”[39]. La risposta, quindi, deve essere integrata: non basta ridurre le emissioni di CO₂, ma occorre riformare il sistema economico, cambiare i modelli di consumo e proteggere i più vulnerabili.
Dopo la pubblicazione dell’enciclica, il Vaticano ha dunque intensificato il proprio impegno nelle conferenze internazionali sul clima, le cosiddette COP (Conference of the Parties), organizzate nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Il contributo della Santa Sede è stato via via più rilevante, pur mantenendo un profilo distinto e coerente con la propria missione spirituale e diplomatica.
La Santa Sede partecipa ufficialmente alle COP in qualità di “Osservatore permanente”, ma a partire dalla COP26 di Glasgow (2021) ha espresso la volontà di aderire pienamente all’Accordo di Parigi, passo poi formalizzato nel 2022. Questo ha segnato un passaggio storico: la Città del Vaticano è infatti uno dei pochissimi Stati sovrani ad aver ratificato l’Accordo pur non essendo membro dell’ONU, rafforzando così il proprio impegno nel contrasto al cambiamento climatico[40].
Alle COP, la delegazione vaticana è solitamente composta da rappresentanti del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, spesso guidata da figure di primo piano come il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, o monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali. A Glasgow, ad esempio, Parolin ha pronunciato un discorso in plenaria in cui ha rilanciato gli appelli di Papa Francesco, relativamente alla crisi climatica, a “rispondere con urgenza, responsabilità e solidarietà”[41].
Inoltre, partecipano esperti in materie ambientali e rappresentanti delle Pontificie Accademie, tra cui la Pontificia Accademia delle Scienze e la Pontificia Accademia per la Vita, che da anni svolgono un ruolo di ponte tra la scienza e l’etica. Anche il cardinale Michael Czerny, attuale prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, ha assunto un ruolo chiave, soprattutto nel promuovere l’agenda dell’ecologia integrale come strumento di giustizia globale.
Il contributo del Vaticano non può e non vuole essere tecnico, come quello dei governi o delle agenzie ambientali, ma profondamente etico. La Santa Sede, sotto la direzione del Pontefice, richiama costantemente l’attenzione su temi che rischiano di essere marginalizzati nei negoziati: la protezione dei poveri, la conversione dei modelli di sviluppo, la solidarietà intergenerazionale, il debito ecologico contratto dai Paesi ricchi nei confronti dei Paesi del Sud globale. È proprio questo sguardo spirituale e umanitario che conferisce una voce unica e ascoltata al tavolo delle conferenze sul clima.
Limiti e critiche
Il pontificato di Papa Francesco, pur avendo riscosso un ampio consenso a livello globale, non è stato esente da critiche e difficoltà. Uno degli ostacoli più significativi si è manifestato proprio nel rapporto con alcuni governi e attori internazionali.
La Cina ha rappresentato un interlocutore particolarmente complesso. Nonostante l’accordo provvisorio del 2018 tra la Santa Sede e Pechino sulla nomina dei vescovi, volto a sanare la frattura tra la Chiesa “ufficiale” controllata dallo Stato cinese e quella “clandestina” fedele a Roma, molti osservatori hanno denunciato la mancanza di trasparenza e il perdurare delle violazioni della libertà religiosa[42]. L’accordo, rinnovato nel 2020 e nel 2022, resta circondato da molte ambiguità e difficoltà di applicazione.
Anche i rapporti con gli Stati Uniti hanno attraversato momenti di tensione, in particolare durante l’amministrazione Trump. Le divergenze si sono manifestate su temi cruciali come il cambiamento climatico, le politiche migratorie e il sostegno al multilateralismo. Papa Francesco ha criticato esplicitamente la costruzione di muri come risposta ai flussi migratori, e il suo impegno per l’ambiente – espresso in modo forte nell’enciclica Laudato si’ – è apparso in contrasto con l’approccio negazionista dell’allora presidente Trump[43].
All’interno della Chiesa cattolica, le critiche più severe sono giunte da settori tradizionalisti e conservatori, che accusano Papa Francesco di aver portato avanti un’agenda troppo “progressista” e di aver indebolito l’autorità dottrinale della Chiesa. Tra i critici più noti figura il cardinale Raymond Leo Burke, che nel 2016, insieme ad altri tre cardinali (Walter Brandmüller, Joachim Meisner e Carlo Caffarra), inviò al Pontefice una dubia – una richiesta formale di chiarimenti – in merito ad alcuni passaggi dell’esortazione apostolica Amoris laetitia[44]. Il documento, pubblicato nel 2016, apriva alla possibilità che i divorziati risposati potessero accedere ai sacramenti in alcune circostanze, generando un ampio dibattito teologico e pastorale.
Un’altra figura apertamente critica è l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti – scomunicato nel luglio 2024 in quanto accusato del delitto di scisma [45] – che nel 2018 pubblicò una lettera esplosiva accusando Papa Francesco di aver ignorato gli abusi sessuali dell’ex cardinale Theodore McCarrick. Viganò chiese all’epoca le dimissioni del Papa e, da allora, continuato a promuovere teorie complottiste, diventando un punto di riferimento per l’opposizione più radicale.
Nel corso del pontificato di Papa Francesco, la diplomazia vaticana ha assunto un ruolo attivo nei principali scenari di crisi internazionale, proponendosi come voce morale indipendente, impegnata nella promozione della pace, del dialogo e della giustizia globale. Tuttavia, accanto al riconoscimento internazionale per il tenace impegno pontificio, è emersa una crescente riflessione critica sulla reale efficacia di tale azione diplomatica. In contesti segnati da profonde divisioni geopolitiche, interessi strategici divergenti e conflitti armati su larga scala, il peso della Santa Sede si è spesso rivelato simbolico più che decisivo.
Emblematici sono i casi della guerra in Siria, del conflitto in Ucraina e della questione israelo-palestinese. In questi scenari, l’influenza vaticana si è trovata a misurarsi con la complessità degli attori coinvolti e con l’impossibilità di esercitare pressioni concrete. Negli ultimi anni, inoltre, si sono acuite alcune tensioni diplomatiche che hanno segnato una fase più difficile per l’azione internazionale della Santa Sede. In particolare, i rapporti con l’Ucraina si sono deteriorati dopo alcune dichiarazioni del Papa percepite da Kyiv come ambigue rispetto all’aggressione russa. Le polemiche si sono intensificate nell’agosto 2023, quando il Pontefice, rivolgendosi ai giovani cattolici russi, ha evocato con toni positivi la “grande madre Russia” e la figura di Pietro il Grande, suscitando dure reazioni da parte del governo ucraino, che ha visto in quelle parole un’eco della retorica imperiale promossa dal Cremlino[46].
Anche le relazioni con lo Stato di Israele hanno conosciuto un raffreddamento significativo in seguito alla nuova escalation del conflitto con Hamas nell’ottobre 2023. Pur condannando l’attacco terroristico contro civili israeliani, Papa Francesco ha insistito con forza sul rispetto del diritto umanitario e sulla protezione della popolazione di Gaza, rinnovando l’appello a una soluzione negoziata e al riconoscimento di due Stati. Le sue parole, tuttavia, sono state percepite da settori del governo israeliano come sbilanciate, troppo concentrate sulla sofferenza palestinese e insufficientemente critiche verso l’operato dei gruppi armati islamisti[47] [48].
Tali dinamiche rivelano i limiti strutturali della diplomazia pontificia, che si propone come “neutrale ma non indifferente” — secondo l’espressione più volte usata dallo stesso Francesco — ma che rischia, in un contesto fortemente polarizzato, di esporsi a fraintendimenti e strumentalizzazioni[49].
In controtendenza rispetto a queste difficoltà, il pontificato ha mostrato una particolare attenzione al continente africano, spesso marginalizzato dalle grandi potenze ma centrale per il futuro della Chiesa Cattolica. Particolarmente forte, in questo senso, è stato il gesto del Papa che, nell’aprile 2019, ha baciato i piedi ai leader politici del Sud Sudan in un drammatico appello alla pace[50]. A questa sensibilità si è aggiunto, in tempi recenti, l’annuncio che l’apertura della Porta Santa per il Giubileo del 2025 avverrà anche in Africa, nella Repubblica Democratica del Congo: una scelta di grande valore simbolico, che intende ribadire la dimensione universale della Chiesa e rafforzare la centralità del Sud globale nel cattolicesimo contemporaneo[51].
Conclusione
Il pontificato di Papa Francesco si è distinto, fin dai suoi primi passi, per una visione della Chiesa profondamente impegnata nel dialogo, nella pace e nella giustizia sociale. Il suo contributo al panorama geopolitico globale si è articolato su più piani, unendo la forza simbolica del papato alla concretezza di azioni diplomatiche, iniziative umanitarie e interventi pubblici che hanno avuto risonanza mondiale.
Il Pontefice ha trasformato la diplomazia vaticana in uno strumento più flessibile e orientato alla mediazione, capace di parlare con tutti, indipendentemente da fedi, ideologie o interessi. Ne è esempio emblematico il ruolo della Santa Sede nella riapertura dei rapporti diplomatici tra Cuba e Stati Uniti nel 2014, frutto di un’azione discreta ma incisiva, centrata sulla fiducia personale e sull’autorevolezza morale del Pontefice[52]. Allo stesso modo, il suo instancabile appello per la pace in Siria, Ucraina, Terra Santa e in altre aree di conflitto ha fatto della Chiesa una voce indipendente e credibile in un sistema internazionale spesso segnato da calcoli strategici e cinismo.
L’eredità geopolitica di questo pontificato risiede dunque nella sua capacità di riposizionare il Vaticano come un attore morale globale, capace di influenzare l’agenda internazionale non con la forza, ma con l’autenticità del messaggio. Il pontefice ha rifiutato il linguaggio della contrapposizione, preferendo quello dell’incontro: dai viaggi apostolici ad Abu Dhabi e Baghdad, alle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, fino al Documento sulla Fratellanza Umana firmato con il Grande Imam di al-Azhar[53]. Papa Francesco ha mostrato come il dialogo interreligioso non sia un lusso per tempi di pace, ma un pilastro della convivenza mondiale, anche – e soprattutto – in tempi di crisi.
Guardando al futuro, la Santa Sede continuerà con ogni probabilità a essere un attore internazionale sui generis: priva di eserciti o ricchezze materiali, ma dotata di un immenso capitale simbolico e diplomatico. Le sfide globali – dal cambiamento climatico alle migrazioni, dai conflitti religiosi alla crisi della democrazia – richiederanno voci capaci di unire anziché dividere. In questo scenario, l’approccio di Papa Francesco potrà fungere da modello per una diplomazia spirituale che metta al centro la dignità dell’uomo e la cura della casa comune[54].
In un mondo frammentato e disorientato, il pontificato di Francesco ha indicato una direzione: quella del dialogo autentico, della giustizia sociale e della pace possibile. Non si tratta solo di un’eredità spirituale, ma anche di una traccia geopolitica concreta che continuerà, con ogni probabilità, a ispirare il ruolo internazionale della Santa Sede negli anni a venire.
Non si può concludere un’analisi del pontificato di Papa Francesco senza volgere lo sguardo anche al futuro: quale direzione potrà prendere il prossimo Papa? È lecito domandarsi se l’eredità lasciata dal defunto pontefice verrà raccolta e sviluppata, oppure se si assisterà a un riequilibrio interno alla Chiesa, con un ritorno a una spiritualità più “interna“, meno esposta sul piano politico e internazionale.
La Chiesa cattolica, nella sua storia bimillenaria, ha sempre alternato fasi di maggiore apertura al mondo a momenti di ripiegamento contemplativo e dottrinale. Dopo un pontificato fortemente proiettato sul piano internazionale, è possibile che una parte del Collegio cardinalizio – soprattutto quello più conservatore – guardi con favore a un Papa più attento alla tradizione liturgica, alla dottrina e alla riforma interna della Chiesa[55]. Tuttavia, l’impatto globale di Francesco ha segnato un punto di non ritorno: la consapevolezza che il papato possa svolgere un ruolo attivo nella diplomazia multilaterale, nella lotta alle disuguaglianze e nella promozione del dialogo interreligioso è ormai parte integrante dell’identità contemporanea della Chiesa.
Pertanto, anche qualora il prossimo pontefice dovesse imprimere un cambio di tono o di priorità, difficilmente potrà ignorare del tutto la traiettoria impressa da Francesco. La scelta non sarà tra “spiritualità” e “politica”, ma tra modelli diversi di testimonianza cristiana nel mondo. In un contesto globale che continua a essere attraversato da crisi etiche, ecologiche e sociali, la voce del Papa – quale che sia il suo stile – sarà ancora chiamata a farsi sentire.
[1] Le opinioni espresse in questo libro sono esclusivamente dell’autore e non riflettono necessariamente le posizioni ufficiali del Ministero dell’Interno o di altra istituzione governativa.
[2] Joseph E. Stiglitz, The Price of Inequality: How Today’s Divided Society Endangers Our Future, New York, W.W. Norton, 2012.
[3] Lina Khatib, The Arab Uprisings Explained: New Contentious Politics in the Middle East ,New York, Columbia University Press, 2014.
[4] Papa Francesco, “Omelia a Lampedusa,” 8 luglio 2013, https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130708_omelia-lampedusa.html
[5] Papa Francesco, Fratelli tutti , Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2020.
[6] Jason Berry, Render unto Rome: The Secret Life of Money in the Catholic Church, New York, Crown Publishing, 2011.
[7] Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, 11 aprile 2015, n. 10.
[8] Papa Francesco, Il cielo e la terra, Milano: Mondadori, 2013, pp. 124-127.
[9] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, Esortazione apostolica, 24 novembre 2013, nn. 53-59.
[10] Papa Francesco, Fratelli Tutti, Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, 3 ottobre 2020, nn. 15-31.
[11] John L. Allen Jr., The Francis Miracle: Inside the Transformation of the Pope and the Church, New York, Time Books, 2015, pp. 196-201.
[12] Acronimo di Forze armate rivoluzionarie della Colombia – Esercito del popolo, anche note con la sigla FARC-EP. Organizzazione guerrigliera comunista colombiana d’ispirazione bolivariana fondata nel 1964 e da allora in conflitto con il potere centrale. Di base contadina, si dichiarano anti-imperialiste e hanno l’obiettivo di rappresentare le masse indigenti delle aree rurali in opposizione alle classi agiate, all’influenza statunitense nel Paese, al monopolio delle risorse naturali da parte delle grandi multinazionali e alla violenza dell’azione militare delle forze paramilitari e governative.
https://www.treccani.it/enciclopedia/farc
[13] Massimo Franco, Il Vaticano secondo Francesco, Milano: Mondadori, 2014, pp. 177-182.
[14] Antonio Spadaro, “Il Papa delle periferie”, La Civiltà Cattolica, n. 3950, 2014, pp. 3-15.
[15] Andrea Riccardi, La forza della vocazione: La vita consacrata oggi, Roma: San Paolo, 2019, pp. 94-98.
[16] Austen Ivereigh, Il pastore ferito: Papa Francesco e la sua lotta per cambiare la Chiesa, Milano, Piemme, 2020, pp. 142–145.
[17] Papa Francesco, “Discorso alla popolazione della Colombia,” Bogotá, 6 settembre 2017, https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2017/outside/documents/papa-francesco-colombia-2017.html
[18] Vatican News, “La missione di pace del cardinale Zuppi”, giugno 2023, https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-06/zuppi-missione-ucraina-russia-pace.html
[19] John L. Allen Jr., La guerra globale ai cristiani, Milano, Mondadori, 2014, pp. 189–193.
[20] Andrea Riccardi, La geopolitica della misericordia. Il papato di Francesco, Milano, Jaca Book, 2021, pp. 45–51.
[21] Sandro Magister, “Il difficile dialogo con la Cina,” L’Espresso, ottobre 2022.
[22] Massimo Faggioli, Il papato di Francesco: Tra riforma e globalizzazione , Roma, Carocci, 2018, pp. 78–81.
[23] Gerard O’Connell, Il Papa degli ultimi: Biografia di Francesco, Roma, San Paolo, 2020, p. 212.
[24] Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e al-Azhar, Dichiarazione sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019.
[25] Assemblea Generale delle Nazioni Unite, “Resolution A/RES/75/200 – International Day of Human Fraternity,” 21 dicembre 2020.
[26] Papa Francesco, Discorso alla Curia Romana in occasione degli auguri natalizi, 21 dicembre 2019.
[27] Sala Stampa della Santa Sede, “Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Iraq,” Comunicato, 6 marzo 2021.
[28] Papa Francesco e Patriarca Kirill, Dichiarazione congiunta, L’Avana, 12 febbraio 2016.
[29] Papa Francesco, Udienza generale, 13 novembre 2019.
[30] Papa Francesco, Discorso alla comunità ebraica nella Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2016.
[31] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, n. 247.
[32] Silvestri, Lorenzo. La geopolitica della misericordia. Il Vaticano e i conflitti del XXI secolo, Roma-Bari, Laterza, 2022, p. 152.
[33] Papa Francesco. Evangelii Gaudium, n. 53. Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2013. https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html
[34] Papa Francesco. “Visita a Lampedusa.” Omelia, 8 luglio 2013. https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130708_omelia-lampedusa.html
[35] Papa Francesco. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2017: La nonviolenza: stile di una politica per la pace. 1 gennaio 2017. https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/peace/documents/papa-francesco_20161208_messaggio-50giornatamondiale-pace2017.html
[36] Papa Francesco. “Viaggio apostolico in Colombia.” Discorsi vari, 6–11 settembre 2017. https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2017/outside/documents/colombia.html
[37] Papa Francesco. Fratelli tutti, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2020. n. 30.
[38] Francesco. “Viaggio apostolico in Giappone.” Discorsi di Hiroshima e Nagasaki, 24 novembre 2019. https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/giappone.html
[39] Papa Francesco, Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2015, §139.
[40] Holy See Press Office, “The Holy See Deposits the Instrument of Accession to the UNFCCC and the Paris Agreement,” 4 ottobre 2022, https://press.vatican.va/content/salastampa/en/bollettino/pubblico/2022/10/04/221004b.html
[41] Intervento del Cardinale Pietro Parolin, COP26, Glasgow, 2 novembre 2021, https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/documents/rc-seg-st-20211102_parolin-cop26_en.html
[42] Massimo Faggioli, The Liminal Papacy of Pope Francis: Moving toward Global Catholicity, Maryknoll, NY, Orbis Books, 2020, pp. 112–114.
[43] Austen Ivereigh, Wounded Shepherd: Pope Francis and His Struggle to Convert the Catholic Church ,New York, Henry Holt, 2019, pp. 179–183.
[44] Raymond L. Burke et al., “Dubia to the Pope,” 2016, pubblicato da diversi siti cattolici.
[45]Comunicato Stampa del Dicastero per la Dottrina della Fede, 5 luglio 2024, https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2024/07/05/0554/01148.html
[46] La Civiltà Cattolica, Il Papa e la Russia: Una diplomazia spirituale, Roma, La Civiltà Cattolica, 2023, pp. 5–12.
[47] Vatican News, Il Papa: servono due Stati, Israele e Palestina, Città del Vaticano: Dicastero per la Comunicazione, 22 ottobre 2023, https://www.vaticannews.va.
[48] Times of Israel, Israel slams Vatican statement on Gaza, Gerusalemme, The Times of Israel Ltd., 4 novembre 2023, https://www.timesofisrael.com.
[49] Francesco Sisci, La geopolitica di Francesco, Roma, Limes, 2023, pp. 45–59.
[50] BBC News, “Pope kisses South Sudan leaders’ feet to encourage peace, Londra, BBC, 11 aprile 2019, https://www.bbc.com/news/world-africa-47889408..
[51] Vatican News, Giubileo 2025: apertura della Porta Santa anche in Africa, Città del Vaticano, Dicastero per la Comunicazione, 9 marzo 2024, https://www.vaticannews.va.
[52] Filippo Petrucci, Il Vaticano e la diplomazia della pace: il caso Cuba-USA, Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 45–50.
[53] Papa Francesco e Ahmad al-Tayyeb, Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019.
[54] Andrea Riccardi, La geopolitica della misericordia. Il pontificato di Francesco e il nuovo ruolo della Chiesa nel mondo, Milano, Mondadori, 2020, pp. 112–119.
[55] Massimo Faggioli, Il futuro del papato: tra tradizione e riforma, Roma, Carocci, 2021, pp. 87–93.