scarica il file in pdf – la porta del pianto – attacchi houthi – dicembre 2023- sanfelice
LA PORTA DEL PIANTO: gli Houthi, il Mar Rosso
e la minaccia al traffico marittimo internazionale
Il conflitto a Gaza e gli attacchi che rischiano di isolare il Mediterraneo
Amm. Sq. Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE
- Introduzione
Come accade per molti conflitti senza limiti, anche quello tra Israele e Hamas, iniziato il 7 ottobre, sta coinvolgendo sempre più attori e, soprattutto, sta riaccendendo scontri che sembravano, quantomeno, in fase di stallo.
Questo fenomeno, da tempo, viene chiamato “spiralizzazione”, un termine brutto, ma che rende l’idea di un conflitto che si allarga, ampliando l’area di crisi come in un movimento a spirale e coinvolgendo sempre più Nazioni o gruppi non statuali.
Una delle più importanti conseguenze della “guerra di Gaza”, in questo processo sempre più distruttivo, è stata la riaccensione del conflitto per il controllo dello Yemen, che, in atto da tempi immemorabili, nella sua versione più attuale dura dal 2014, ed era almeno temporaneamente sospeso, grazie alla tregua firmata il 6 aprile scorso.
Quello che sembrava un processo di pacificazione, in effetti, è però durato poco. Già nello scorso luglio erano trapelate notizie circa il cattivo andamento del dialogo tra i ribelli Houthi[1] e l’Arabia Saudita, malgrado la mediazione dell’Oman, ma non si pensava che la situazione peggiorasse di nuovo fino a questo punto.
Non è stato questo l’unico problema: ora è a rischio persino la distensione tra Arabia Saudita e Iran, consolidata grazie alla mediazione cinese, che ha portato alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.
Certo, si sapeva che i cosiddetti “ribelli Houthi” (a maggioranza sciita zaidita) fossero molto vicini al governo di Teheran, e in un certo modo dipendenti da quel governo, ma non era ipotizzato il fatto che essi si sarebbero schierati apertamente a favore della causa dei Palestinesi della Striscia, e soprattutto che fossero capaci di mettere in campo armamenti sempre più sofisticati, rispetto a quelli già in loro possesso, come i motoscafi radiocomandati.
Negli ultimi mesi, invece, gli Houthi oltre a dichiararsi apertamente a sostegno di Hamas, hanno inizialmente effettuato una serie di lanci di missili balistici verso Israele, non si sa con quale effetto. Con il passare dei giorni, poi, le loro iniziative si sono moltiplicate, tanto che esse non hanno interessato solo l’ambiente terrestre e spaziale, ma si sono estese anche a quello marittimo.
Ogni minaccia al commercio, bisogna ammetterlo, ci tocca molto da vicino, in quanto potrebbe causarci danni economici e commerciali enormi, tanto che da alcuni decenni anche alcuni tra i maggiori gruppi jihadisti hanno affermato che lo scopo degli attacchi a navi commerciali, con quello che è stato definito terrorismo marittimo[2], avrebbe come fine proprio questo. I vantaggi degli attacchi terroristici compiuti sul mare sarebbero per Al Qaeda capaci di colpire il “tendine di Achille” dell’Occidente: gli interessi economici. Nel primo numero della rivista Resurgence si leggeva che “anche se una singola super-petroliera fosse attaccata in uno dei passaggi ristretti o sequestrata e fatta affondare in mare, le conseguenze sarebbero fenomenali”[3].
Il fatto che gli Houthi, ormai, tentino di danneggiare non solo Israele, ma anche l’intero Occidente colpendo i traffici marittimi, è un aspetto che merita la nostra attenzione, specie perché dà adito al sospetto che questo gruppo operi a nome e per conto dell’Iran, e che sia proprio Teheran a volerci danneggiare.
- Gli attacchi recenti
La prima tipologia di attacco a navi mercantili, iniziata meno di un mese fa dagli Houthi, è consistita in due tentativi di cattura, uno dei quali coronato da successo, di mercantili ritenuti di proprietà israeliana. Come infatti è stato dichiarato dai sequestratori, l’atto è stato compiuto come dimostrazione di appoggio alla causa palestinese, che sta subendo il contrattacco in forze delle Forze Armate israeliane nella striscia di Gaza, in risposta alla massiccia e sanguinosa incursione oltreconfine da parte di membri di Hamas.
Il primo episodio si è verificato il 18 novembre scorso, quando un commando eliportato degli Houthi ha abbordato nel Mar Rosso meridionale la nave trasporto automobili “Galaxy Leader”, battente bandiera delle Bahamas e con 25 membri dell’equipaggio, dirottandola verso un porto yemenita da loro controllato.
La nave ha un armatore giapponese (NYK Lines), mentre il proprietario – non si sa di quanti carati[4] – sarebbe israeliano, il miliardario Abraham Ungar.
Un secondo, simile, abbordaggio di un mercantile, sempre di proprietà israeliana ma con bandiera liberiana, la “Central Park” il 27 novembre, avvenuto anch’esso nel Mar Rosso meridionale, è stato invece sventato dal cacciatorpediniere della US Navy “Mason”, il quale ha inviato un commando a bordo del mercantile aggredito e ha indotto alla fuga i 5 assalitori. La nave, gestita dalla compagnia londinese Zodiac, sarebbe di proprietà della famiglia israeliana Ofer, stando agli organi di stampa.
Il fatto di aver abbordato dei mercantili battenti bandiere-ombra, come quella delle Bahamas e della Liberia, ma di proprietà israeliana farebbe pensare, a prima vista, che l’Intelligence degli Houthi sia altamente specializzata, anche se non manca, di nuovo, il sospetto che dietro alle loro azioni ci sia sempre la mano di Teheran, la cui struttura di intelligence appare maggiormente in grado di districarsi nel dedalo delle bandiere-ombra e dell’armatoria internazionale.
Nel rivendicare questi due attacchi, il portavoce militare degli Houthi, il Brigadiere Generale Yahya Saree, avrebbe dichiarato che “le Forze Armate dello Yemen continuano a impedire alle navi israeliane di navigare nel mar Rosso finché non finirà l’aggressione di Israele ai nostri fedeli amici nella Striscia di Gaza”[5].
Da quel momento in poi. Però, si è assistito a una progressiva intensificazione degli attacchi, con una sequenza escalatoria che ha creato non poche preoccupazioni, circa il reale motivo dietro queste aggressioni.
Un secondo tipo di azione da parte degli Houthi, infatti, è iniziato pochi giorni dopo, il 3 dicembre, mediante attacchi con drone e missili lanciati dalla costa contro tre navi mercantili, una delle quali nel Mar Rosso settentrionale, malgrado queste non avessero apparentemente nulla a che fare con Israele.
Le prime due navi, sottoposte ad attacco, sono state la “Unity Explorer”, battente bandiera delle Bahamas, e di proprietà britannica, e la “Sophie II” con bandiera panamense, che fortunatamente hanno subito solo lievi danni. Meno fortunato è stato il terzo mercantile, il “Number 9”, anch’esso panamense, che ha subito danni consistenti ed ha corso il rischio di affondare.
A salvare questi tre mercantili è stato un cacciatorpediniere della US Navy, il “Carney”, che pattugliava il mar Rosso per intercettare missili balistici diretti dallo Yemen contro il territorio israeliano. L’unità, infatti, è riuscita a impedire che gli ulteriori lanci di missili e di drone colpissero i bersagli.
Anche in questo caso, in una sua dichiarazione, lo stesso portavoce degli Houthi ha affermato che “se Gaza non riceverà il cibo e le medicine di cui ha bisogno, tutte le navi nel Mar Rosso, dirette a porti israeliani [Eilat] diventeranno un bersaglio per le loro Forze Armate, senza riguardo alla loro nazionalità”[6].
Gli attacchi, mediante missili e droni, ai tre mercantili appena citati sembrerebbero rispondere a questa tipologia, anche se non è certo che le tre navi in questione fossero dirette verso Israele.
Gli Houthi, però, non sembra si vogliano limitare ad attaccare i mercantili diretti a Eilat. Il leader del gruppo, Mohammed Ali Al-Houthi, infatti, ha affermato che “la milizia avrebbe considerato le unità militari, che forniscono protezione ai mercantili diretti in Israele come bersagli legittimi”[7]. Non a caso, la sera del 9 dicembre la fregata francese “Languedoc” è stata attaccata da droni, mentre transitava al largo del porto yemenita di Hodeida.
L’unità, appartenente alla classe FREMM di progetto italo-francese, ha risposto agli attacchi, abbattendo i droni diretti contro di lei. Anche lo USS “Carney”, stando alle dichiarazioni del Pentagono, avrebbe abbattuto alcuni droni diretti contro l’unità[8].
Sono passati pochi giorni e l’11 dicembre un altro attacco è stato effettuato nello Stretto di Bab-el-Mandeb, questa volta a una nave cisterna norvegese, la “Strinda” che navigava lungo la costa yemenita. Il mercantile era diretto in Italia con un carico di olio di palma, e, stando a quanto detto dallo stesso portavoce degli Houthi, è stato colpito perché aveva “rifiutato ogni chiamata di avvertimento”[9].
L’affermazione, fatta dal portavoce, secondo cui la nave fosse diretta in Israele, anziché in Italia, ha mostrato che gli Houthi stessero interrogando via radio ogni mercantile di passaggio e volessero colpire quelli che si rifiutavano di fornire le informazioni richieste, presupponendo che la loro destinazione fosse Eilat.
Malgrado i danni inferti dal missile, il mercantile ha potuto domare l’incendio, con l’aiuto della fregata francese “Languedoc” e si è diretto verso un porto sicuro. Tutti i membri dell’equipaggio sono incolumi.
Un ulteriore, più massiccio attacco a mercantili di passaggio nello Stretto è avvenuto il 14 dicembre: sono infatti stati colpiti ben quattro mercantili: il “Palatium III” e lo “Alanya” della MSC, lo “Al-Jasrah” della compagnia Hapag-Lloyd ed il “Maersk Gibraltar”, appunto della Maersk.
Il 15 dicembre, infine, la nave cisterna norvegese “Swan Atlantic”, che trasportava prodotti chimici, è stata colpita da numerosi proiettili provenienti dalla costa yemenita, riportando danni relativamente lievi.
Questi attacchi sarebbero legati a una nuova linea d’azione degli Houthi, che, stando a organi di stampa, “Negli ultimi giorni intimano a ogni mercantile di lasciarsi ispezionare, per verificare se sono previsti scali nello Stato ebraico: in caso di rifiuto, fanno fuoco”[10]. Si è passati, quindi in pochi giorni, dalla volontà di interrogare i mercantili di passaggio a quella di ispezionarli, senza alcun motivo, e quest’ultima pretesa non può essere facilmente accettata dalle altre Nazioni, in quanto Bab-el-Mandeb è classificato “Stretto Internazionale”.
Per porre fine a tutte queste aggressioni, in un primo tempo, gli Stati Uniti sembravano intenzionati a modificare il mandato della forza navale multinazionale che opera nel Mar Rosso fin dal 2020, con il compito di contrastare il contrabbando di carbone e minerali verso lo Yemen, in modo da includere anche la protezione dei mercantili in transito.[11]
Si tratta di una forza multinazionale, attualmente sotto comando egiziano, che utilizza unità fornite dagli 8 Paesi che hanno aderito alla coalizione (Arabia Saudita, Sudan, Gibuti, Somalia, Eritrea, Egitto Yemen e Giordania).
Naturalmente, non tutte queste Nazioni partecipanti sono in grado di contrastare né i missili balistici né tantomeno gli attacchi dei droni, una capacità che solo l’Egitto possiede, grazie alle due fregate FREMM acquisite dall’Italia, oltre alle unità più recenti dell’Arabia Saudita.
Per questo, oltre che per la riluttanza del Cairo e di Riad a schierarsi apertamente contro gli Houthi, il governo di Washington ha chiesto a un certo numero di Nazioni amiche, tra le quali l’Italia, di inviare proprie unità per partecipare ad operazioni di protezione del traffico nello Stretto, varando l’Operazione “Prosperity Guardian”. In proposito, il Segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, ha dichiarato che questa decisione era la conseguenza della “recente espansione degli spericolati attacchi da parte degli Houthi, con origine nello Yemen”[12]. La coalizione, stando alle notizie di stampa, dovrebbe comprendere il Bahrain, il Canada, la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi, la Norvegia, le Isole Seychelles e la Spagna.
Il nostro governo, in linea con gli interessi nazionali che richiedono il mantenimento del commercio marittimo tra l’Asia e il Mediterraneo, ha aderito prontamente destinando la fregata “Virginio Fasan” che operava già al largo di Gaza. Anche se non è necessario il via libera del Parlamento, dato che l’unità era già stata designata a partecipare all’Operazione Atalanta, sarà necessario un passaggio parlamentare, qualora le regole d’ingaggio previste dal Comando della coalizione andassero al di là dell’autodifesa e della protezione dei mercantili da attacchi in corso.
La prudenza nell’avviare questa operazione è però generale: vale infatti la pena di notare che, sempre secondo la stampa, gli Stati Uniti avrebbero accolto una richiesta, da parte dell’Arabia Saudita, affinché evitino rappresaglie massicce. Le ragioni per tale richiesta sarebbero due. Come afferma, infatti, un noto editorialista:
“I sauditi vogliono evitare di compromettere il negoziato con gli Houthi per il mantenimento della tregua nello Yemen (e) non vogliono riaprire una fase di tensione con l’Iran, ritenuto tra gli ispiratori delle incursioni Houthi, ma protagonista di un dialogo con il principe Mohammed bin Salman.
Washington si trova così stretta tra esigenze contrastanti: aiutare Israele nella sua difesa, mantenere la libera navigazione su una rotta cruciale, non scontentare il regno, astenersi da operazioni che possano aumentare l’instabilità”[13].
Ma permane, e non solo a Washington, la preoccupazione di fondo che, ancora una volta, lo Stretto di Bab-el-Mandeb e l’area circostante diventino un luogo troppo pericoloso per il transito dei mercantili, convincendo gli armatori a inviare le proprie navi lungo la rotta del Capo di Buona Speranza, più lunga ma decisamente più sicura.
Questa preoccupazione, condivisa dai Paesi mediterranei, è avvalorata dal fatto che, dopo gli ultimi attacchi, sia la Maersk sia la Hapag-Lloyd, due tra le massime compagnie dedite al trasporto dei containers, hanno deciso di sospendere, sia pure temporaneamente, il transito dei propri mercantili attraverso Bab-el-Mandeb e di avviarli lungo la “Rotta del Capo”, circumnavigando l’Africa. Altrettanto hanno fatto, nei giorni successivi, la British Petroleum, la Orient Overseas Container Line e la stessa MSC.
- La configurazione dell’area
In effetti, la parte meridionale del Mar Rosso, lo stretto di Bab-el-Mandeb e il golfo di Aden costituiscono una specie di lunga strettoia di appena 18 miglia nautiche (25 km) di larghezza, costellata da isolotti, tanto che le navi devono percorrerla seguendo il tracciato di due stretti canali di separazione del traffico, che si snodano in acque sicure, lasciando al centro l’isolotto di Perim.
Andando al di là di queste difficoltà di navigazione, bisogna osservare che la costa nord dello Stretto è dominata dalla parte dello Yemen controllata dagli Houthi, che agiscono dal porto di Hodeida, mentre, una volta raggiunto il golfo di Aden, ci si ritrova con la costa settentrionale controllata dal governo yemenita sostenuto dalla coalizione araba, che non costituisce minaccia.
La costa meridionale, invece, è controllata dall’Eritrea, da Gibuti e dal Puntland[14], con quest’ultimo Paese che nel passato è stato accusato di sostenere i pirati nel golfo di Aden. L’atteggiamento di quest’ultimo Stato, ancor oggi, è considerato essere a dir poco ambiguo, dato che è stato osservato che almeno una parte dei sequestratori della nave israeliana, al servizio degli Houthi fosse di apparente origine somala.
In questa zona di mare transita la massima parte del traffico marittimo tra l’Asia, l’Europa meridionale e i Paesi mediterranei. Si calcola che il 10% di tutti i prodotti petroliferi mondiali attraversi lo Stretto di Bab-el-Mandeb e che nel 2021 siano transitati oltre 20.000 mercantili, con una media di 50 al giorno, in quelle acque.
Si capisce bene, solo da questa cifra, quanto intenso sia il traffico che attraversa lo Stretto e quanto importante quest’ultimo sia per il commercio internazionale, specie per la prosperità dei Paesi mediterranei.
Bab-el-Mandeb, infatti, è il passaggio obbligato che porta a Suez e quindi al Mediterraneo. Se venisse chiuso, obbligherebbe i mercantili a raggiungere l’Europa circumnavigando l’Africa – seguendo quindi la cosiddetta “Rotta del Capo” di Buona Speranza – e quindi isolerebbe il Mediterraneo dall’Asia, visto che i porti europei più vicini, per chi circumnaviga il continente africano, diventerebbero quelli dell’Europa atlantica.
Il fatto che numerose compagnie di navigazione abbiano deciso, sia pure temporaneamente, di far seguire questa rotta ai propri mercantili, è un campanello d’allarme da non sottovalutare. Si rischia, infatti, di ricreare la situazione che, nel 2011, provocò un vero terremoto nel mondo mediterraneo, con una sequenza di rivolte, provocate dall’impoverimento delle casse degli Stati nord-africani, e passate alla Storia come “Primavere arabe”.
- I precedenti
L’area di Bab-el-Mandeb non è mai stata una zona tranquilla: non a caso lo stesso nome dello Stretto significa “La Porta del Pianto” indice dei pericoli corsi da chi, fin dall’antichità, ha percorso questo tratto di mare.
Fin dal 1839, in previsione dell’apertura del Canale di Suez, la Gran Bretagna si assicurò la presenza nel porto di Aden e presidiò l’isolotto di Perim, che fino ad allora era stato un comodo punto d’appoggio per i pirati.
La Francia, a sua volta, si stabilì sulla costa sud dello Stretto, a Gibuti, nel 1887 e ancor oggi, malgrado il Paese sia diventato indipendente, possiede in concessione una base navale, usata anche da altre Marine europee. Merita osservare che un’altra zona portuale di Gibuti, non troppo lontana dalla prima, è stata concessa alla Cina, ulteriore segno dell’importanza dell’area a livello mondiale.
L’effetto di queste occupazioni fu l’assenza di pericoli, in tempo di pace, per la navigazione mercantile, oltre al dominio assoluto dei transiti, da parte delle due Potenze, in tempo di guerra. Le nostre navi di base a Massaua, durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, ne subirono le conseguenze, con un tasso elevato di perdite dolorose ogni volta che tentarono di raggiungere l’oceano: solo quattro sommergibili e la nave appoggio “Eritrea” riuscirono nell’impresa, grazie alla capacità dei loro comandanti.
Con la guerra civile che da decenni vede contrapposti gli Yemeniti del nord e quelli del sud, l’uso del porto di Aden è diventato sempre più precario, specie dopo che nelle sue acque si è verificato, il 12 ottobre 2000, un attentato sanguinoso di Al Qaeda allo USS “Cole”. Sono cresciute, quindi, nel tempo le preoccupazioni sull’agibilità dell’area in periodi di tensione o di conflitto.
Per questo, durante l’operazione antiterrorismo Enduring Freedom, lo Stretto fu pattugliato da motocannoniere tedesche, tra il 2001 e il 2002. Le unità furono poi ritirate e da allora la sicurezza è devoluta ai Paesi litoranei.
Il riaccendersi della guerra nello Yemen, nel 2014, con gli yemeniti del sud, sunniti, appoggiati da una coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita, contro i ribelli Houthi sciiti del nord, sostenuti dall’Iran, ha fatto rinascere le preoccupazioni, avvalorate dal fatto che le sue acque erano diventate uno dei teatri principali del conflitto: solo le unità navali saudite lo pattugliavano, ma sono spesso state attaccate da motoscafi radiocomandati e da razzi, di produzione iraniana, in possesso degli Houthi.
Fino al 2019, però, a parte le navi da guerra, solo tre mercantili, due sauditi e uno turco, erano stati attaccati con razzi, in linea con la dichiarazione del portavoce Houthi al canale TV Al Masirah, nel 2017, il quale aveva affermato che: «le navi da guerra e le petroliere degli aggressori e i loro transiti non saranno al sicuro dal fuoco delle forze navali yemenite, quando ordinato dalle superiori autorità».
Non bisogna, infine, dimenticare cosa sia avvenuto nel golfo di Aden. Nel 2008, infatti, lo sviluppo della pirateria costrinse sia l’Unione Europea sia la NATO a inviare proprie forze navali per rendere sicuro il transito nell’area, e altrettanto fecero Nazioni come la Russia, la Cina e l’India, anche se queste ultime si limitavano a proteggere i mercantili battenti la loro bandiera, sia pure in coordinamento con le due forze navali schierate dall’Occidente.
- Il problema dei “Choke Points”
Le rotte commerciali tra l’Asia e l’Europa sono costellate da strettoie, veri e propri “colli di bottiglia”, o in lingua inglese “Choke Points” (strozzature) che, oltretutto, si trovano vicino ad aree di forte instabilità[15].
Queste strettoie non sono solo i cosiddetti “Stretti Internazionali”, il cui attraversamento è regolamentato dal Diritto Internazionale, ma anche di quei passaggi obbligati, come il Canale di Sicilia, quello di Otranto, o appunto il Golfo di Aden o il mare di Alboran, che non hanno alternative per le navi dirette ad alcune specifiche destinazioni, oppure che evitano loro di dover perdere tempo, percorrendo rotte molto più lunghe per aggirare il passaggio obbligato, come nel nostro caso.
Queste strettoie costituiscono i veri e propri “punti strategici”[16] del traffico marittimo, poiché le navi vi si accalcano, per attraversarli, e sono esposte ad attacchi ancor più di quando navigano in mare aperto, dovendo rallentare, mettersi in fila, e procedere, spesso, a bassa velocità, per evitare i pericoli posti dalla natura (scogli, bassi fondali, correnti) in questi tratti di mare, passando oltretutto molto vicino alla costa.
Questa situazione può essere sfruttata a proprio vantaggio da attori intenzionati a danneggiare i flussi del commercio, limitandoli o condizionandoli per conseguire i propri obiettivi strategici. Questi attori non hanno bisogno, in realtà, di disporre di una forte Marina per farlo: bastano alcune postazioni di missili o stazioni-guida di droni aerei o navali per colpire senza pericolo le navi di passaggio. Gli abbordaggi, poi, richiedono brevi tragitti con un gommone o con un elicottero, senza dover fare lunghi inseguimenti, data la bassa velocità dei mercantili di passaggio.
Come osservava, infatti, uno studioso britannico: “talora, il luogo migliore per impegnare il nemico è in un collo di bottiglia geografico, attraverso il quale egli debba passare. Il vantaggio del controllo dei «Choke Points» è che si può impiegare unità che non potrebbero sopravvivere a lungo in operazioni di controllo delle sortite vicino alle basi nemiche”[17].
Ai tempi nostri, oltretutto, i governi occidentali ci pensano bene prima di autorizzare il bombardamento delle postazioni costiere da cui proviene la minaccia – azioni che aggraverebbero il conflitto – e preferiscono limitarsi a proteggere i mercantili dalle minacce provenienti dalla costa.
Questo significa, però, che le operazioni nei “colli di bottiglia”, diventando via via più frequenti, tanto da spingere a considerare la necessità di disporre, come nel passato, di mezzi dedicati, almeno in parte diversi, perché più piccoli, maneggevoli e veloci, a complemento delle unità maggiori, impiegabili in mare aperto.
La tendenza delle Marine occidentali, infatti, è stata finora quella di privilegiare le costruzioni di sole unità navali destinate ad operare nei grandi spazi oceanici, e questa tendenza si è accentuata con il deterioramento dei rapporti tra le Grandi Potenze, che fanno temere una ripresa dei conflitti su scala globale.
Oltretutto, dislocare in sedi lontane unità leggere e veloci, che sono sofisticate ma dispongono di equipaggi ridotti, impone un sostegno logistico non indifferente, inclusa la presenza di unità appoggio per alloggiare il personale e manutenere i sistemi e gli apparati di questi “levrieri del mare”. Questo spiega perché in Occidente il numero di unità atte a operare in acque ristrette, come i passaggi obbligati, sono quasi del tutto scomparse dagli inventari delle flotte. Solo la Svezia, tra i Paesi dell’Occidente, ha rimpiazzato le vecchie motosiluranti con corvette missilistiche che si sono già distinte nel golfo di Aden, durante le operazioni anti-pirateria.
- Le “guerre per procura” (proxy wars)
Il lettore attento avrà sicuramente notato i ripetuti riferimenti al ruolo che il governo di Teheran sta svolgendo dietro le quinte, in questa serie di attacchi sempre più numerosi, condotti dagli Houthi e dai loro alleati.
In effetti, il governo iraniano viene sospettato di applicare una strategia che da secoli viene ritenuta oltremodo conveniente: quella delle “guerre per procura” o, per usare il termine anglo-sassone, proxy wars.
Questa forma di guerra, che si può riassumere nella frase: “tirare il sasso e ritirare la mano”, si basa sulla possibilità di incaricare qualcuno, legato a chi voglia colpire altri da forti vincoli di clientela, a svolgere il ruolo del “cattivo”, senza che il mandante si sporchi le mani e divenga a sua volta un bersaglio da parte dell’aggredito desideroso di vendetta.
Naturalmente, il compare che si presta a tale opera deve avere motivi di gratitudine ben impellenti per accettare questo lavoro sporco, che lo può esporre a rappresaglie anche violente. Come si è visto nel caso che stiamo trattando, però, molto spesso gli aggrediti si limitano a compiere le azioni minime necessarie per sopravvivere alla minaccia, senza andare a colpire le basi o distruggere il potenziale bellico dell’aggressore.
Quindi, in questo caso la “guerra per procura” fomentata, si pensa, da Teheran è un modo efficace per esercitare pressione sull’Occidente, senza correre alcun pericolo direttamente, tanto saranno, eventualmente, gli Houthi a pagare lo scotto dei loro atti di guerra.
Come rispondere? A parte la protezione del traffico marittimo, azione già in corso anche nello Stretto di Hormuz dopo alcuni attacchi contro alcuni mercantili occidentali, non si può far altro che ricercare i punti vulnerabili dell’Iran, specie sul piano economico, tecnologico e finanziario e rispondere con atti di “guerra ibrida” per indurre il governo di Teheran alla ragione.
- Conclusioni
Il traffico marittimo internazionale è, al tempo stesso, una fonte di benessere per le Nazioni, come l’Italia, che lo praticano e ne traggono beneficio, e una facile preda sia per coloro che vogliono approfittarne – come i pirati o i terroristi – sia per chi lo intenda usare come ostaggio per conseguire gli obiettivi politici che si prefigge.
Il Mediterraneo è un mare delimitato, chiuso alle sue estremità quasi come una caramella, con lo Stretto di Gibilterra sul suo limite occidentale, verso l’oceano Atlantico, e lo Stretto di Bab-el-Mandeb su quello orientale, verso l’oceano Indiano. Il canale di Suez e il Mar Rosso, infatti, non sono che tappe intermedie per chi dal Mediterraneo voglia sboccare negli oceani che bagnano l’Asia o viceversa.
Non serve essere potenti per bloccare, quindi, il commercio internazionale diretto verso, o proveniente dall’Europa. Come si è visto, basta sfruttare le strettoie naturali che costringono i mercantili a rallentare, e attaccarli proprio in questa delicata fase della loro navigazione, usando mezzi tutto sommato limitati: qualche gommone, elicotteri, droni aerei e navali e missili lanciati dalla costa.
Bab-el-Mandeb risponde appieno a questi requisiti, stretto e lungo com’è.
La US Navy, qualche anno fa, bombardò tre siti di missili costieri degli Houthi, per ridurre la minaccia alla libera navigazione, ma nel tempo queste postazioni, evidentemente, sono state ripristinate. Analoghe azioni, da parte dei Paesi europei, appaiono decisamente poco probabili.
Cosa fare, quindi? Ai Paesi europei, e in particolare all’Italia, vista la crescente violenza del conflitto, interessa ridurne l’effetto “spiralizzante” evitando che il commercio internazionale ne venga danneggiato, ma senza aggravare le tensioni. La Francia, oltre agli Stati Uniti, ne è già consapevole e ha mandato una propria unità, per ridurre i rischi ai mercantili di passaggio. Ambedue le Nazioni hanno, infatti, prontamente aderito all’Operazione Prosperity Guardian.
Va detto, per riprendere il discorso della necessità di navi specializzate, che il problema dei “choke points” ha raggiunto una rilevanza mai avuta negli scorsi decenni: basti pensare che la nostra Marina Militare, prima ancora di aderire alla coalizione per Bab-el-Mandeb, era già impegnata nel Golfo di Guinea contro la pirateria, nello Stretto di Hormuz e in quello di Tiran, per garantire la sicurezza della navigazione, e sta seguendo ciò che avviene nello Stretto di Malacca, grazie agli osservatori inviati presso il ReCAAP[18], oltre a inviare in zona, periodicamente una nostra unità. Negli anni passati, inoltre, sono state inviate nostre navi da guerra per scortare i mercantili battenti bandiera italiana nel Golfo Persico, e cacciamine per sminare le acque del Golfo di Suez e degli approcci ai porti del Kuwait.
Ora si aggiunge un nuovo, più arduo compito, con la nostra partecipazione alla protezione dei commerci nello Stretto di Bab-el-Mandeb. Nave “Virginio Fasan” avrà molte gatte da pelare, trattandosi di una missione ad alto livello di minaccia!
A guardar bene, questo elenco di impegni è impressionante: siamo costretti a partecipare alla sorveglianza praticamente tutti i “Choke Points” tra l’Asia e l’Europa, per ridurre le minacce e i rischi del commercio internazionale. L’unico passaggio che non aveva ancora visto la presenza delle nostre unità era, appunto, Bab-e-Mandeb, e ora anche lì la nostra presenza è stata richiesta e abbiamo, giustamente, accettato.
L’interesse dei nostri governi, fin dai decenni scorsi, per la sicurezza del commercio internazionale marittimo è sempre stata fuori discussione. Se Bab-el-Mandeb, la “Porta del Pianto” si chiudesse, come gli Houthi stanno cercando di fare, ci ritroveremmo senza commercio internazionale e quindi nella povertà più assoluta.
Non a caso, tra tutte le missioni di controllo dei passaggi obbligati (“Check Point Control” per gli specialisti), nessuna riveste l’importanza che il controllo della “Porta del Pianto” riveste per il nostro Paese.
Ma, come si è visto dagli incidenti descritti, riuscire a controllare Bab-el-Mandeb, in una situazione di guerra ad alta tecnologia, quale è quella scatenata dai c.d. “ribelli Houthi” non sarà cosa facile: Nave “Fasan” e le unità che saranno inviate nell’area per sostituirla, tra qualche mese, dovranno disporre di un’autonomia decisionale elevata, una situazione cui non siamo sempre stati abituati.
Nel lungo termine, visto che le missioni di “Choke Point Control” si stanno moltiplicando e rischiano di diventare, purtroppo, un’esigenza permanente, un pensiero alla costruzione di mezzi veloci e bene armati, come le corvette svedesi, non sarebbe certo un errore: le Forze Armate, e le Marine in particolare, hanno ormai quattro compiti ben definiti: sorveglianza, prevenzione, protezione e stabilizzazione.
Ci stiamo concentrando, giustamente, sullo svolgimento di questi compiti, mediante operazioni in acque profonde e nei grandi spazi oceanici, ma non possiamo dimenticare che, a fianco a queste attività, il controllo e la protezione dei commerci nei passaggi obbligati è altrettanto importante, specie quando un Paese che ci vuole male, come l’Iran, utilizza dei “compari” (in inglese “proxy”) per danneggiarci.
Il rischio che una nostra nave mercantile venga colpita, come avvenne nel caso del “Jolly Rubino” ai tempi della guerra nel Golfo Persico, attaccato, non a caso, anche in quel caso da Pasdaran iraniani, non può essere più accettato da chi, come l’Italia, dipende dal commercio internazionale per garantire la qualità di vita del nostro popolo.
[1] I ribelli Houthi, di fede sciita zaidita, hanno dato vita alcuni anni fa ad un movimento nato sotto la guida dell’imam Hussein al-Houthi, da cui prende il nome, nella città di Saada che si trova nel nord in una delle aree meno sviluppate dal Paese. La ribellione degli Houthi ha negli anni conquistato consenso in buona parte del nord e nel corso delle c.d. “Primavere arabe” si scagliò contro il Presidente Saleh accusandolo di aver distrutto l’identità zaidita dei tempi della monarchia, trasformandosi in un vero e proprio conflitto contro le forze governative continuato anche sotto la Presidenza di Hadi, dando vita ad una guerra civile tra il nord a maggioranza sciita zaidita ed il sud a maggioranza sunnita salafita, mentre “Al Qaeda nella Penisola Arabica” ha continuato ad operare avvantaggiandosi della debolezza dello Stato yemenita.
[2] Si veda QUADARELLA SANFELICE di MONTEFORTE L., Il terrorismo marittimo, in Rivista Marittima, marzo 2023, 48ss.
[3] Si veda Resurgence, issue 01, Fall 2014, pag. 102.
Annientare l’Occidente colpendo la sua economia è uno dei cavalli di battaglia di Al Zawahiri (per approfondire si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Al Zawahiri economic war against the West, in Economic War – Quaderno Società Italiana di Storia Militare 2017, Milano, 2017, 353-360).
[4] I carati sono, secondo il codice della navigazione, le quote dei comproprietari di una nave e per antica consuetudine sono 24, frazionabili.
[5] GAMBRELL J., Three Commercial Ships hit by missiles in Houthi attack in Red Sea, in AP News, 4 December 2023.
[6] STAFF T., , In escalation, Houthis vow to target all Israel-bound ships in Red Sea, in The Times of Israel, 9 December 2023.
[7] AL BAATATI S., Yemen Houthis threaten to target military escorts to Israel-bound ships, in Arab News, 10 December 2023.
[8] Vds. GIANSIRACUSA A., Missili lanciati dagli Houthi contro navi mercantili e l’USS Carney in azione, in ARES Osservatorio Difesa, 4 dicembre 2023.
[9] GAMBRELL J., A missile fired by Yemen’s Houthi rebels strikes a Norwegian-flagged tanker in the Red Sea, in AP News, 12 December 2023.
[10] DI FEO G., Flotta anti-Houthi per contrastare gli attacchi nel Mar Rosso: gli Usa chiedono le navi italiane, in La Repubblica, 16 dicembre 2023.
[11] TOROPIN K., Pentagon preparing for Red Sea Task Force to protect commercial vessels from Houthi rebel attacks, in Yahoo/news, December 5, 2023.
[12] SABBAGH D., US announces naval coalition to defend Red sea shipping, in The Guardian, 19 December 2023.
[13] OLIMPIO G., Mar Rosso, la minaccia degli Houthi: «Pronti a colpire ogni nave diretta a Eilat». I rischi e lo «scudo» Usa, in Corriere della Sera, 10 dicembre 2023.
[14] Il Puntland, il cui territorio occupa la punta nord della Somalia, è autonomo dal 1998, ed è entrato a far parte della Federazione Somala nel 2012.
[15] Si veda SANFELICE di MONTEFORTE F., I PUNTI SENSIBILI DEL COMMERCIO MARITTIMO, in Mediterranean Insecurity, Gennaio 2021, e in QUADARELLA SANFELICE di MONTEFORTE, Mediterranean Insecurity – vol. 3, 2022, pagg. 14-41.
[16] Secondo una definizione della Strategia Teorica, “I punti strategici sono quei siti dai quali si può minacciare più opportunamente e più efficacemente il nemico; che in pari tempo non ci espongono ad esserne minacciati con vantaggio, e che perciò importa occupare” (in FINCATI L., Aforismi militari, Roma, Forzani & C., 1882, p. 20).
[17] TILL G., Seapower. A Guide for the Twenty-First Century, London, Routledge, 2009, pag. 182.
[18] ReCAAP è la sigla del “Regional Cooperation Agreement on Combating Piracy and Armed Robbery against Ships in Asia”, firmato dai governi di Australia, India, Filippine, Bangladesh, Giappone, Singapore, Laos, Thailandia, Cina, Myanmar, Gran Bretagna, Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Germania, Norvegia e Vietnam. L’Italia gode dello status di osservatore ed è rappresentata da un ufficiale di Marina, distaccato in permanenza nella sede dell’Organizzazione. La principale anomalia è data dal fatto che Indonesia e Malesia, due Nazioni che si affacciano sullo Stretto di Malacca, non sono parte dell’accordo.