scarica il file in pdf – iran – febbraio 2023- Lanzara
L’Iran tra riflessi di Dio e soli nucleari
Gino Lanzara
Storia di un re che percosse il mare…
Le analisi sull’Iran non si prestano mai a letture di presa facile ed immediata: il fascino persiano sta proprio lì, nell’indurre alla tentazione di snudare, un velo alla volta, una realtà che riflette migliaia di anni di storia; una realtà complessa, difficile, affascinante. Che il rapporto con l’Occidente sia stato da sempre problematico, lo ricorda lo scontro con la civiltà greca, capace di resistere all’urto delle possenti ondate persiane, sospinte da un re così infuriato da far frustare mari poco compiacenti con divinità troppo terrene[1], ma non in grado di comprendere l’etos di guerrieri che combattevano per la propria terra impervia e rocciosa. Secondo Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, un assunto quanto mai attuale. La difesa dell’integrità territoriale e dell’interesse nazionale è un valore condizionato da storia, dinamiche geopolitiche, aspetti etnici. Se i trascorsi imperiali hanno lasciato tracce indelebili, anche le vicissitudini determinate dalle occupazioni britanniche e russe non sono state cancellate dall’oblio, ed anzi il loro vissuto è stato accentuato dall’innata diffidenza dell’etnia persiana sciita immersa in un contesto regionale a maggioranza araba e sunnita; la retorica dell’Hannibal ante portas, del resto, non si palesa patologicamente all’improvviso. Vale la pena rammentare quanto accaduto nel 1953, quando i servizi segreti statunitensi e britannici organizzarono il colpo di stato destinato a destituire Mohammad Mossadeq[2], Presidente democraticamente eletto. Se l’Occidente vede un Iran aggressivo ed espansionista, Teheran continua a percepirsi, sia in via regionale che globale, in balia del rischio di invasioni, di scontri etnico religiosi, in un contesto estraneo ed ostile dove alleati sfuggenti possono trasformarsi in concreti nemici[3].
Riflessi di Dio, politica, guerra
Il pericolo esistenziale rappresentato dall’invasione irachena del 1980 appoggiata dagli USA, riuscì imprevedibilmente a portare al fronte un intero popolo, trasformando tuttavia la guerra in un catalizzatore nazionalista capace sia di annullare qualsiasi opposizione, sia di consolidare l’assetto politico iraniano, con schieramenti inclusivi di svariati partiti che tutt’ora funzionano fluidamente sulla base di regole poco rigide[4]; da considerare il fatto che, nonostante le rivalità, nessuno schieramento politico iraniano, tanto meno i riformisti, spinge per una rifondazione istituzionale. Per comprendere l’istituzionalismo iranico sciita, è necessario partire dal concetto di velayat-e faqih, il governo del giureconsulto, teorizzato ed eletto a sistema dall’innovatore Khomeini che, nel bilanciare le componenti politiche di centrodestra e centrosinistra a lui fedeli, stravolge la tradizione sciita, basata sull’obbedienza al potere temporale in attesa del ritorno sulla terra del 12° imam nascosto[5], unico legittimato alla riunione di ordine religioso ed autorità politica. Con la fine del quietismo[6], il clero viene politicizzato, gli elementi religiosi sciiti vengono fusi con le idee marxiste di riscatto e giustizia sociale; idee cesellate tra gli anni 60 e 70 da Ali Shariati[7], che formula la teoria dell’islam rosso, animato dai più forti sentimenti di rivincita, con cui sostituire l’islam nero, icona dell’accettazione passiva del proprio destino. Politicamente Khomeini riesce in un intento da mission impossible: far confluire ed assorbire nell’essenza religiosa tutte le anime rivoluzionarie. Sia chiaro: a fronte della supposta innovazione, Khomeini chiarisce da subito che le generazioni nate nella Repubblica islamica sarebbero cresciute per ottemperare alle leggi basate sull’interpretazione sciita della Sharia. La concezione pragmatica post-guerra con l’Iraq del Presidente Rafsanjani, poggia su due assunti: il confronto ideologico con gli USA, ed il progredire di politiche che dissipino un’immagine egemonicamente fin troppo aggressiva. Il pensiero strategico iraniano 2.0 si concentrava dunque sull’evitare attriti con gli USA[8], favorendo una politica di riarmo fondata su capacità nazionali[9]; un principio destinato ad evolversi dopo l’11 settembre 2001, con il tentativo di riavvicinamento del Presidente Kathami, frustrato nel gennaio 2002 dalla politica del Presidente George W. Bush che inserì l’Iran tra i componenti dell’asse del male con Iraq e Corea del Nord. Inevitabile l’emersione nel 2005 del conservatorismo di Mahmud Ahmadi-Nejad, a cui era stata di preludio nel 2003 l’invasione americana dell’Iraq. Il terzo plinto strategico iraniano è di fatto ancora in evoluzione per effetto delle crisi mediorientali in Yemen, Iraq, Siria e Libano, e segue un presupposto difensivo basata sulla consapevolezza di non poter sostenere un conflitto convenzionale per cui privilegiare invece strategie asimmetriche coinvolgenti gli alleati regionali[10] di credo sciita-alawita.
A me le guardie! Disse la rivoluzione
Di quanti milioni di baionette dispone Teheran? Oltre al mantenimento di Artesh, le Forze Armate convenzionali, la rivoluzione ha plasmato una milizia territoriale, da subito efficace nel contrasto alle forze di stampo marxista e nazionalista: nel maggio 1979 viene costituito il corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica (IRCG)[11]. Conquistato prestigio e reputazione durante la guerra, i Pasdaran sono assurti a dimensioni più elevate e paganti: quella economica e quella politica, di gran lunga superiori a quelle di Artesh, con significative capacità proiettive demandate alla Forza Quds, ora comandata da Esmail Qaani, preceduto da Qassem Soleimani, annientato nel gennaio 2020 da un attacco mirato statunitense; un’eliminazione che, seppur controbilanciata dalla forte reazione generata dall’abbattimento del Boeing 752 dell’Ukraine International Airlines ad opera dei Pasdaran, ha indebolito l’ala pragmatico riformista iraniana, agevolando poi l’ascesa di Ebrahim Raisi a capo di un governo dominato da populisti illiberali vicini alla Russia e contrari a qualsiasi accordo sul nucleare. Quel che comunque interessa è che l’IRGC, impegnato all’interno ed all’esterno della Repubblica, è la principale forza militare iraniana che, con forti interessi acquisiti, può vantare una lealtà ideologica che il regime teme non sia così spiccata in Artesh. Non c’è dubbio che i Pasdaran consentano una pronunciata proiezione di potenza, tuttavia, c’è da rimarcare come il loro comando e controllo abbiano sempre richiesto una profonda opera di coordinamento. La morte di Soleimani e al-Muhandis, comandante della milizia di Kata’ib Hezbollah, ha senza dubbio colpito l’Iran per tutta l’estensione della mezzaluna sciita, con le milizie filo iraniane prive di leader ugualmente carismatici. Non a caso Kata’ib Hezbollah in Libano e Asa’ib Ahl al-Haq [12]in Iraq potrebbero avviarsi ad adottare agende divergenti da quelle iraniane. La stessa leadership irachena punta all’integrazione del Paese con gli stati arabi, Golfo compreso, ed intende rendere Baghdad un prezioso hub diplomatico regionale. Mentre il predecessore di Sudani, Mustafa al-Kadhimi, ha curato l’integrazione irachena con Egitto e Giordania aprendo alle relazioni con EAU e Arabia Saudita, Mohammed Shia’ Sabbar Al-Sudani si è proposto per riconvocare gli incontri Iran-Arabia Saudita. L’Iraq ha bisogno degli investimenti del Golfo, ed il Golfo desidera un Iraq stabile non vincolato all’Iran. Esmail Qaani, che non sembra possedere le stesse capacità di persuasione e mediazione di Soleimani, potrebbe puntare a favorire la creazione di nuovi gruppi più contenuti, più leali e meno noti, in grado di garantire una maggiore mimetizzazione ed una minore esposizione ai raid israelo-americani. Mentre l’organizzazione di intelligence Pasdaran traballava per la rimozione di Hossein Taeb[13], le Guardie della Rivoluzione rivolgevano i loro pesanti moniti[14] ad un’Europa che, decisa a stigmatizzarli come terroristi, ha mostrato tutta la sua incongruenza politica per voce dell’Alto rappresentante per la politica estera Joseph Borrell, che, a fronte delle determinazioni espresse dal Parlamento Europeo, ha diffusamente spiegato, varando un nuovo pacchetto di sanzioni, che per inserire i Pasdaran[15] in una black list occorre prima una sentenza cogente da parte di un tribunale di uno degli Stati membri.
Chi è alla porta? La rivoluzione, sire
Quarto paese al mondo per riserve di petrolio e secondo per riserve di gas[16], l’Iran non è mai riuscito a dispiegare un pieno sviluppo economico, condizionato dalla penetrazione pasdaran nel tessuto economico nazionale, e rallentato da una gestione ideologizzata dell’economia. Un punto di faglia, nella perfezione dell’affresco tratteggiato dai precetti religiosi, rimane quello delle proteste, globali ed in aumento; negli ultimi anni i movimenti popolari hanno contribuito alla caduta di molti esecutivi, partendo da istanze anti corruzione[17] per saldarsi poi con le proteste indotte dagli aumenti provocati da pandemia e guerra ucraina. In Iran si sta manifestando un ossimoro politico-sociale, per cui esiste una situazione rivoluzionaria ma senza una vera rivoluzione; le proteste imperversano, ma non riescono a tramutarsi in minacce significative per il regime: non tutti i settori sociali più rilevanti si sono uniti alla contestazione, ed in più non si ravvedono spaccature tra élite politica o tra forze di sicurezza. Questo non significa che il regime non abbia avvertito la necessità di reprimere le contestazioni e soprattutto non vuol dire che la situazione tornerà allo statu quo ante, benché non si sia determinata né una concreta minaccia alla stabilità del regime o un’alternativa all’ordine politico vigente[18]. È anche vero però che la prosecuzione delle proteste, ancorché limitata, genera difficoltà per l’ordine costituito, timoroso di palesare una debolezza fisiologicamente incapace di impedire ulteriori istanze[19] sociali. Il dilemma politico è duplice: una risposta governativa edulcorata e parziale difficilmente placherebbe la rabbia popolare, ma d’altra parte ignorare le istanze non farebbe che provocare la reiterazione di repressioni sempre più violente e causa di possibili ed imprevedibili escalation[20]. In sintesi: le proteste in Iran non rientrano tra le estemporaneità, ed ora è opportuno stigmatizzare alcune differenze con il passato: la durata eccezionalmente prolungata, e l’aperta contestazione di regime e Guida Suprema[21]. Uno stato di rivolta costante a la Trotsky pone sia le premesse per una realtà degenerabile in ogni momento, sia può concedere al movimento di piazza tempo e possibilità di organizzarsi[22].
Che colpa abbiamo noi[23]
Importante non dimenticare la Generation Z, ovvero i nati tra il 1997 ed il 2012, che sta guidando la protesta nella cybersfera; una generazione avvezza al mondo digitale che negli ultimi dieci anni ha preso le distanze dalla linea ufficiale del regime. Data la demografia (il 50% della popolazione ha meno di 30 anni e l’80% accede ad internet) l’Iran è un paese giovane e digitalmente avanzato, dunque non deve sorprendere l’abilità dimostrata sulle piattaforme social e la contestuale repressione[24] del regime. La Gen Z è dunque una generazione globalizzata, aperta, che ascolta la musica, che si informa di politica estera e che, soprattutto, desidera convertire la libertà da virtuale a reale: Facebook e Tik Tok vs una teocrazia che giudica le manifestazioni come reati capitali rientranti nella fattispecie della guerra a Dio. Le richieste della generazione più giovane sono chiare: stabilità finanziaria, lavoro, eguaglianza di genere, libertà per le minoranze etniche, tutto al netto di qualsiasi ideologia o controllo da parte di generazioni rigide ed ingrigite. L’avvento della tecnologia e l’ascesa delle piattaforme multimediali, oggetto di censura, ha reso visibile ovunque quel che accade, dalla richiesta di democrazia di Hong Kong fino al Black Lives Matter statunitense; non a caso l’Onda Verde del 2009 ha anticipato le Primavere Arabe del 2011. È dunque aumentata la consapevolezza, è cresciuto il livello di apprendimento delle tecniche adottate dai vari movimenti, benché sia latente la preoccupazione di una frammentazione degli sforzi profusi, dovuta sia ad una concreta carenza di leadership, sia al contrasto governativo. Il melting pot sociale, a grandi linee, ora associa le basi medie urbane dell’Onda Verde del 2009 a quelle più popolari[25] del 2017/18 e del 2019, con una rinnovata solidarietà tra etnie, finora accortamente oggetto del principio del divide et impera. Ovviamente anche lo Stato ricorre alle nuove tecnologie, che conosce e dunque teme[26]. La guerra informatica è così diventata globale, tanto che in molti sospettano che sia stata la Russia a fornire armi informatiche, informazioni e capacità[27] in grado di segnare una transizione nella strategia cyberterroristica[28] passata dalla raccolta di informazioni ad operazioni complesse sul campo[29]. A Beirut Hezbollah, sotto il controllo della Forza Quds raccoglie informazioni sul Libano, porta attacchi informatici contro le attività energetiche del Golfo, rafforza le difese informatiche di Teheran; per evitare ritorsioni occidentali Hezbollah, detentore di risorse strategiche meno vulnerabili alle rappresaglie straniere, è utilizzato come un cyber-proxy. Gli USA, con Israele, sono uno dei paesi più colpiti dagli hacker iraniani ed Hezbollah[30].
Il lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine saremo tutti morti[31]
Le insurrezioni causate dalla morte di Mahsa Hamini[32] di fatto sono state precedute dai moti nelle province sud occidentali, determinati dall’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, causati dall’abolizione governativa del tasso ufficiale di cambio agevolato[33], relativo alle attività di importazione di alcuni prodotti alimentari di base. Il gap tra il tasso di cambio sovvenzionato e il tasso di cambio del libero mercato ha causato effetti distorsivi nell’economia di Teheran, rendendo difficile la stabilizzazione del tasso stesso, aggravando deficit e crisi inflazionistica[34]; inoltre, l’aumento dei prezzi del grano dovuto al conflitto russo ucraino, ha acuito il fenomeno del contrabbando dei beni di prima necessità sovvenzionati da Teheran ai suoi vicini. La situazione di precarietà interna vede la soglia di povertà fissata a 400 dollari al mese per singolo nucleo familiare, mentre una pensione media non supera i 7 milioni di toman[35], pari a 232 euro. Se queste proteste hanno dato l’impressione di poter essere contenute, hanno tuttavia prodotto sia un’ulteriore evidenza della crisi economica che sta attanagliando l’Iran, sia del malessere politico che si è espresso nel 2017, poi nel 2019 per la penuria di carburante e nell’estate del 2021 per la mancanza di acqua ed elettricità, con slogan indirizzati contro il leader supremo Ali Khamenei, ora indefettibile nella linea di sostegno al governo conservatore Raisi. E Khamenei è indefettibile anche nel controllo della Setad, fondazione dotata di diverse decine di miliardi di dollari in beni, presente in tutti i settori economici, in particolare l’immobiliare e le quote societarie, per montanti spesso in competizione, in quanto a volume, con i ricavi delle esportazioni petrolifere. Va aggiunta poi la Barakat Foundation, altro impero finanziario facente sempre capo alla Guida Suprema[36]. Mancando soluzioni ai problemi di fondo, il regime non fa che intensificare misure repressive a largo spettro, con l’intento di disinnescare i rischi per la sua stabilità; non a caso i cambiamenti di leadership nell’intelligence, culminati con il licenziamento di Hossein Taeb, ormai ex responsabile degli apparati coperti dei Pasdaran a seguito dei fallimenti cumulati nel duello con Israele, riflettono l’ansia governativa sollecitata da quella che si è palesata come un’intollerabile dimostrazione di debolezza. In questo senso la repressione interna si tramuta in un messaggio sui generis rassicurante, come l’intensificazione dei bombardamenti nel nord dell’Iraq contro gruppi di opposizione curda. I media iraniani, as usual, attribuiscono la responsabilità dei disordini a forze esogene israelo saudite, mirate a finalizzare la creazione di un Kurdistan indipendente geograficamente sottratto a Teheran. L’Iran rimane un egemone energetico in potenza, capace di alterare il fragile equilibrio esistente; l’impatto prodotto da Teheran sui mercati energetici potrebbe causare notevoli implicazioni politiche dato il conflitto russo ucraino e la situazione di stallo tra Cremlino ed Occidente; tuttavia, tra il 2021 e il 2022, un decremento delle entrate petrolifere contestuale ad un aumento delle spese hanno condotto ad un deficit fiscale inarrestabile: secondo la World Bank il PIL reale del 2020-2021 è regredito verso quello del 2010-2011, mentre quello pro capite è sceso al livello registrato tra 2004 e 2005. Se Il ministero degli Esteri iraniano ha affermato che le riserve di gas iraniano potrebbero “assicurare il fabbisogno energetico dell’Europa se le sanzioni…venissero revocate”, è altrettanto vero che l’arrivo del prodotto sui mercati occidentali potrebbe richiedere anni: l’astuzia verbale non può temperare limiti infrastrutturali e tecnologici. Per quanto concerne il petrolio, l’OPEC+ ha adottato una politica in grado di mantenere i prezzi più vicini possibili al parametro di 100 dollari al barile; è ovvio che non contribuire all’aumento della produzione petrolifera non agevola l’empatia occidentale. Non c’è dubbio che un Iran in versione free-rider petrolifero limiterebbe il potere strutturale dei produttori sulla configurazione del mercato, benché necessiterebbe di un quadro normativo interno più flessibile e di idonee partnership con attori esteri, cinesi compresi, che assicurassero tecnologia e capitali adeguando i comparti produttivi alle necessità globali. Va considerato tuttavia il rischio relativo al fatto che le partecipazioni esterne ridurrebbero il controllo che i Pasdaran detengono su queste attività economiche. Ma sul tavolo europeo le proteste non sono l’unico tema in discussione; l’ampliamento delle sanzioni europee è fatto concreto, ed è funzionale ai controlli volti ad accertare l’effettività delle consegne di armi, in particolare droni[37], alla Russia; tale approvvigionamento[38] farebbe dell’Iran il primo fornitore attivo di Mosca[39], in violazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle NU che ha approvato il JCPOA[40] del 2015 tra Iran e altri sei paesi. Anche il Pentagono ha confermato l’uso di questi sistemi d’arma. Il malessere, del resto, esiste da tempo, e dipende sostanzialmente da due fattori: il malfunzionamento del sistema economico finanziario, per oltre il 40% sotto controllo Pasdaran[41], e le aspettative di crescita disattese ormai da anni. Se si tiene conto della portata dei Bonyad, fondi caritatevoli esentasse che controllano circa il 20% del PIL iraniano e finanziano gruppi che sostengono la Repubblica islamica, aggiungendovi il potere di Khamenei e quello altrettanto pervasivo dei Pasdaran, si può comprendere la valenza di potere economico e posta in gioco; un potere che vede il budget militare in crescita insieme a quello programmato per le organizzazioni para-statuali.
La rabbia di Medea
Paradossalmente l’attuale situazione sociale richiama alla memoria stilemi più affini al mondo occidentale di quanto non sembri; il rifiuto di indossare l’hijab ha condotto alla ribalta la forza ed il coraggio dell’altra metà del cielo, mai così paradossalmente vicina ai personaggi della mitologia ellenica. Le piazze iraniane sono state riempite da migliaia di libere Medea, non certo pazienti Penelope, schierate contro Giasoni anacronisticamente clericali. Del resto è il catalizzatore femminile quello che ha ispirato, forse per una nuova Primavera, le donne della regione MENA[42]. In Bahrain, la cui popolazione è a maggioranza sciita, la morte di Mahsa ha acceso un “ampio dibattito” sull’uso dell’hijab. La ricerca di rivalsa delle donne iraniane, per Time eroine dell’anno 2022, non si limita infatti alla morte di Mahsa Amini, ma libera la rabbia e l’orgoglio repressi da decenni di maltrattamenti e discriminazioni da parte di uno Stato rimasto chiuso, rigido, condotto da una casta teocratica che ha conquistato il potere dopo aver annichilito marxisti, socialisti, moderati e religiosi d’opposizione; mentre la società si è evoluta, e meno del 20% della popolazione ha ricordi precisi del periodo pre-rivoluzionario, l’élite è rimasta fedele agli anni ’80[43], quando l’Iran confliggeva con l’Iraq e la parola di Khomeini era legge. L’alfabetizzazione è cresciuta, è emersa una società intelligente, tecnologica, creativa; le donne, soggetti e simboli della moralità islamica e che detengono circa il 60% delle posizioni universitarie, rendono sempre più che visibili le loro capacità. I recenti richiami del Presidente Raisi a hijiab e castità, espressione di una visione fuori dal tempo, si sono polverizzati sui frangiflutti di una realtà progredita[44]. Le decisioni dell’attuale élite richiamano alla memoria quelle assunte nel 1978 dal regime dello Shah che, ordinando la pubblicazione di scritti contrari al verbo khomeinista, produssero l’effetto opposto rendendo di fatto l’Ayatollah in esilio un eroe nazionale. Ma è ancora Medea a tenere banco; piace rammentare come contro Khomeini, si sia levata Oriana Fallaci che, nel togliersi il chador, simbolo di una segregazione politica di genere, ha controbattuto in campo aperto l’Ayatollah con visione più che ampia, cultura, carattere sulfureo[45]; una donna degna di essere emulata dall’esempio offerto in tempi più recenti da Christiane Amanpour[46] che il velo, simbolo di sottomissione, non ha inteso indossarlo nemmeno sulle spalle. Di fatto i confini di genere, nel tempo, hanno assunto un carattere poroso, assurgendo al rango di problema politico in grado di influenzare le relazioni di potere con cui è stato posto in connessione, e fornendo tuttavia un prezioso punto di osservazione utile per comprendere mutamenti ed incoerenze interne allo Stato. Negli anni 2000, sull’onda dei cambiamenti sociali e dei contatti comunque coltivati più o meno clandestinamente con l’Occidente, il regime è stato costretto a variare la nozione di soggettività femminile, passando ad una più lata protezione di diritti, scelte, e spazi dedicati alle donne.
Amara terra mia[47]
Ma i problemi sociali non sono delimitabili solo all’ambito femminile; l’aumento dei flussi migratori in uscita[48] sta assumendo caratteri significativi, indicativi del senso di disperante esasperazione serpeggiante tra le generazioni più giovani, frustrate dallo stallo dei negoziati del JCPOA, dal rinnovo delle sanzioni, dall’intensificarsi della crisi economica, dalle promesse mancate di un concreto miglioramento economico, dalla mancata diffusione delle libertà civili, dall’incremento di tossicodipendenze e suicidi. Crescita della popolazione e recessione hanno determinato ulteriori gap della capacità di assorbimento della forza lavoro più giovane e soprattutto colta[49]; è rilevante il fatto che il fenomeno si stia estendendo, oltre che ai ceti più abbienti, anche ad altri settori sociali. Insomma, le proteste divampate per l’hijab stanno evolvendo, come riportato dal Wall Street Journal[50], “in un più ampio movimento alimentato dalla rabbia della classe media per l’economia al collasso”[51]. Secondo Sujata Ashwarya, del Centre for West Asian Studies, della Jamia Millia Islamia University di New Delhi, le manifestazioni “illustrano la rabbia della popolazione iraniana, alle prese con problemi che vanno dall’iperinflazione alla massiccia disoccupazione, alla crescente povertà, ai disastri ambientali fino alle infrastrutture in fase di deterioramento”. Inflazione endemica al 52,2%[52], in aggiunta a bassa crescita economica e ad alta disoccupazione[53], insieme con il crollo della valuta[54], non poteva non alimentare le proteste nel Paese[55]. A pagare il prezzo più alto, come spesso accade, la middle class, il ceto che, accettata a suo tempo una limitazione delle libertà politiche in cambio di crescita economica ed opportunità, ha garantito la stabilità del regime degli Ayatollah fin dal 1979, salvo venir poi toccato duro, dal 2011, dall’impatto delle sanzioni[56]. Beninteso, divario reddituale, bassa produttività e incertezza economica interni sovrastano l’impatto sanzionatorio e non possono essere sanati con la revoca delle sanzioni. Le criticità economiche iraniane persisteranno a prescindere da un accordo nucleare contestuale alla revoca dei provvedimenti finanziari, a meno che il governo non provveda a riforme sostanziali, quali: riforma del sistema bancario e pensionistico, adozione di misure di trasparenza, incentivazione di una concreta competitività economica. Anche se dovesse essere mai raggiunto un accordo sul nucleare, senza tali misure non ci potrebbe essere alcuna via d’uscita per le contingenze economiche di Teheran. Secondo Asef Bayat dell’Università dell’Illinois, l’Iran sta soffrendo della sindrome da “classe media povera”, stigmatizzata da spiccata assenza di fiducia nel futuro, elemento che sta accompagnando il ceto medio all’opposizione. È dunque comprensibile perché un numero sempre più consistente di appartenenti alla middle class emigrino intaccando il capitale umano iraniano[57]; secondo un sondaggio effettuato circa 2 anni fa dal Center for International and Security Studies dell’Università del Maryland e da Iran Poll, il 63% degli intervistati attribuisce le difficoltà economiche a pessima gestione ed a corruzione interne, non direttamente alle sanzioni.
Lo sfuggente oro azzurro
Inevitabile tornare ad analizzare economia e politica, visto che il Presidente Raisi, dati i suoi fallimenti nell’affrontare la congiuntura, è stato apertamente tacciato come deficitario in conoscenza ed esperienza addirittura dall’interno dell’ambito conservatore[58] che, con un mirato blue fire, lo ha accusato di fare affidamento solo su giovani rivoluzionari inesperti. È del resto pur vero che le diatribe interne sono una caratteristica fisiologica del sistema politico iraniano, tanto che tutti i presidenti sono stati oggetto di critiche da parte dei vari centri di potere, tra cui l’Ufficio della Guida Suprema, il potere legislativo, la magistratura, i Pasdaran. La tensione tra Raisi, che agita lo spauracchio di una sirianizzazione dell’Iran ed i suoi antagonisti, impegnati in una pericolosa e duplice politica del doppio forno che li vede contemporaneamente critici e sodali, rivela come il campo conservatore non sia monolitico[59]. Il quadro va completato con il mancato temperamento delle conseguenze socioeconomiche connesse ai cambiamenti ambientali. Nella provincia del Khuzestan le falde acquifere sotterranee sono esaurite; 700 chilometri a nord-est sono emerse doline spalancate, con il terreno che sprofonda di 25 cm all’anno. Ma non si tratta solo del risultato di fenomeni naturali; il ciclo idrologico che causa siccità, desertificazione e inondazioni improvvise è il risultato di decenni di scadente gestione politica. Le sfide idriche iraniane sono generate da una concezione economica che considera le risorse naturali unicamente come beni sfruttabili. L'(ab)uso incontrollato delle acque sotterranee abbassa i livelli idrici, il che porta a un pompaggio irregolare delle falde, cosa che a sua volta innalza la salinità, contribuendo alla riduzione dei raccolti di grano. Se è vero che la costruzione di dighe per la produzione idroelettrica è un fattore scatenante il degrado ambientale, è anche vero che le infrastrutture idroelettriche sommano una scarsa considerazione per l’integrità delle risorse idriche, alla corruzione interna ai Pasdaran che puntano alla costruzione di invasi che producano entrate, a prescindere dalle conseguenze ecologiche o sociali. Probabilmente Teheran vede l’ambientalismo come una minaccia in quanto capace di rendere coesa la popolazione; è sotto quest’ottica che trovano spiegazione le tensioni che pongono l’uno contro l’altro i vari gruppi etnici o i diversi settori economici. Sempre in tema idrico, tra Turchia e Iran è in atto un contenzioso sulle acque transfrontaliere; non a caso Teheran, risentita per le dighe turche sui fiumi Aras e Tigri, ha accusato pubblicamente Ankara di provocare diminuzioni dei flussi d’acqua, dando vita ad una complessa disputa diplomatica. Il fatto che Teheran parli anche a nome di Baghdad nelle querelle con la Turchia ed alla luce dei procurati dissesti idrogeologici, non cancella il disappunto di Baghdad che potrebbe non escludere un ricorso contro l’Iran presso la Corte internazionale di giustizia. Sembra evidente che l’Iran intenda addossare alla Turchia gli errori commessi nella gestione delle sua risorse idriche, pur nell’evidenza di non aver contemplato alcuna pianificazione agricola o selezione delle colture basata sulla disponibilità di acqua, e senza effettuare alcuna valutazione sull’impatto ambientale prodotto dalle dighe.
Gli stati mediorientali non sono nazioni, sono dispute con dei confini.[60]
Tornando alla politica estera, le proteste hanno indotto il governo iraniano a mantenere una posizione più cauta, visto il suo coinvolgimento nel conflitto russo ucraino e la conseguente emarginazione internazionale, mentre disordini interni, problemi strutturali e sanzioni stanno producendo un devastante impatto sull’economia, avviata verso una contrazione dovuta alla debolezza della domanda nel settore dei servizi, con una riduzione degli investimenti e l’ulteriore taglio della spesa[61]. L’isolamento diplomatico obbliga alla ripresa del dialogo con l’Arabia Saudita, che non può che sperare in un perdurante stato di necessità di Teheran che guarda intanto a Baghdad, alle aperture egiziane, alla Giordania, non poco preoccupata per il progressivo ritiro delle truppe russe dalla Siria, al Libano di Hezbollah, lo stato nello Stato libanese, così potente ed invasivo da entrare nei giochi energetici con Israele, quando si è trattato di negoziare sulle aree che insistono sui giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale. Non a caso l’Iran ha richiamato l’attenzione europea sull’incerta sicurezza delle potenziali forniture di gas israeliane laddove gli interessi di Teheran non venissero considerati: il gas libanese è diventato una proiezione di quello iraniano. Per comprendere le dinamiche in corso è necessario ampliare lo spettro di osservazione; nonostante l’ostilità vs l’Iran, Arabia Saudita, Egitto, Giordania ed EAU sono impegnati a dialogare con Teheran grazie alla mediazione irachena, sospinti dal convincimento che gli USA intendano proseguire lo sganciamento dalla regione per volgersi all’Indo Pacifico. Del resto è anche vero che quando gli stati del Golfo sono stati attaccati, gli stessi hanno preferito limitarsi a semplici e sommesse proteste, innescate dalla delusione per il mancato supporto americano. La politica statunitense, mirata a fiaccare l’Iran attraverso la coercizione economica, ha esacerbato le tensioni regionali, mentre ha mostrato la sua riluttanza nel difendere militarmente i partner del Golfo, accrescendo il senso di vulnerabilità alle ritorsioni di Teheran. Del resto, come recita un antico adagio popolare, se un nemico non si può combattere ci si allea. Se il JCPOA troverà un (improbabile) rilancio, la rinnovata rilevanza regionale dell’Iran costringerà all’apertura di canali diplomatici; anche il fallimento dei negoziati, tuttavia, affrancando Teheran dai vincoli di sviluppo dell’arma atomica, polarizzerà il Medio Oriente costringendolo, realisticamente, al dialogo con l’Iran. La guerra yemenita ha reso consapevoli sauditi ed emiratini che uno scontro frontale con l’Iran può riservare conseguenze difficilmente gestibili.
JCPOA, ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba[62]
Le prospettive di un rilancio in via compromissoria dell’accordo nucleare hanno conosciuto una sorte altalenante, tra incerte sicurezze e indiscutibili stalli che potrebbero suggerire negoziazioni step by step[63] tali da permettere, guadagnando tempo per ottenere patti duraturi, il rispetto di linee rosse atto a scongiurare escalation nucleari. Anche l’UE ritiene che le divergenze rendano improbabile un celere accordo, anche perché la Casa Bianca si è espressa chiaramente circa la logica impossibilità di soddisfare richieste che vincolino le Amministrazioni future. È probabile che Washington spingerà con maggior vigore per applicazione ed estensione delle sanzioni, con il consenso europeo sostenuto dalla minaccia dell’uso della forza, soprattutto per il sentore di realizzazioni di armi atomiche da parte di Teheran, che progredirà sia nella tecnica nucleare sia nelle provocazioni. L’equilibrio basato sul principio nessun accordo, nessuna crisi, potrebbe rivelarsi scarsamente perseguibile, e costringere a mantenere aperti spazi diplomatici alternativi[64]. Per Teheran, una volta stretto un accordo con gli USA, il rischio è quello di trovarsi esposta alle stesse accuse di imprudenza mosse all’amministrazione Rouhani, ma d’altro canto non c’è dubbio né che i criteri ispirati da Khamenei, basati sulla revoca in toto delle sanzioni, rimangano irrealisticamente rigidi, né che si possa escludere a priori un ulteriore futuro ritiro statunitense dai negoziati[65]. Gli oppositori iraniani del JCPOA, infine, grazie al conflitto ucraino, potrebbero aver azzardato l’ipotesi di conseguire un insperato vantaggio nei negoziati in virtù del possibile aiuto di Mosca nell’accantonamento delle sanzioni[66]. Sta di fatto che l’amministrazione Biden ha preferito rivedere gli strumenti di coercizione già utilizzati; non a caso il Presidente USA ha dichiarato, quale ultima risorsa, l’intento statunitense di intraprendere un’azione militare contro il programma nucleare di Teheran, continuando preventivamente ad esercitare pressione diplomatica ed economica[67]. Probabilmente la definizione migliore del momento arriva da una fonte anonima dell’UE, per cui l’Iran si è avventurato in una tempesta perfetta: situazione interna, trasferimento di armi alla Russia, stallo sull’accordo nucleare. Sotto quest’ottica l’ulteriore deterioramento dei rapporti tra USA-Iran prende le mosse mentre hanno luogo l’attrito regionale tra Teheran e Riyadh che tuttavia non escludono approcci diplomatici, le guerre proxy in Yemen e Siria, la concorrenza strategica in Libano e Iraq. Entrambe le parti hanno ora optato per un impegno diplomatico nella speranza di evitare ulteriori scontri. Sostanzialmente l’avvento di un governo che anteponga gli interessi nazionali all’ideologia rivoluzionaria sembra essere l’unico strumento utile per addivenire ad una svolta geopolitica funzionale agli USA. Nella chessboard mediorientale rientra anche la Turchia, concorrente diretta nella produzione di droni; mentre russi e iraniani combattevano i ribelli siriani da loro inclusi nel novero dei terroristi, questi ultimi ricevevano il sostegno di Ankara che, nel rovesciamento del regime di Assad, ha visto vantaggi soprattutto nell’area settentrionale, dove i curdi siriani, nemici strategici[68], controllano ancora di fatto una regione semi-autonoma. Salire sul carro russo-iraniano è stato necessario alla Turchia per considerarsi attrice determinante nel processo politico regionale, malgrado gli interessi divergenti da quelli iraniani, aggiunti alle fratture causate dalle questioni relative a Siria, Iraq, Libano e Yemen. In un futuro, reso più lontano e politicamente meno rilevante dagli effetti del tragico sisma che ha devastato Turchia e Siria, non si può escludere una resa dei conti Ankara – Teheran. Analizzando a più ampio spettro la diplomazia americana, sia il viaggio di Biden che le iniziative di Trump non riguardavano tanto i Paesi visitati quanto il convitato di pietra iraniano, visto che anche l’amministrazione democratica non ha mancato di sostenere gli Accordi di Abramo, valorizzabili sia in senso lato regionale, sia in funzione delle recenti relazioni israelo-sudanesi, sia in previsione di possibili liaison dirette tra Gerusalemme e Riyadh. L’intento volto a bilanciare l’Iran si è del resto concretizzato con gli accordi firmati durante il tour diplomatico, ovvero con la Dichiarazione di Gerusalemme sottoscritta da Biden e dal primo ministro israeliano ad interim Lapid, ed il Comunicato di Jeddah, firmato con il Principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, che ha sottolineato l’importanza per entrambi i contraenti di impedire all’Iran di acquisire un’arma nucleare, senza lasciare vuoti strategici da far colmare a Cina o Russia.
“La missione della Repubblica islamica dell’Iran è quella di spazzare via Israele dalla mappa del Medio Oriente.” Ali Khamenei – “Il Presidente iraniano farebbe bene a tenere a mente che l’Iran potrebbe anche essere cancellato dalla carta geografica.” Shimon Peres
Del resto Israele non può non percepire l’Iran come una minaccia esistenziale, specie dopo che lo ha visto tentare la replica in Siria di quanto fatto in Libano con Hezbollah. La dottrina israeliana della periferia, che consigliava di coltivare buoni rapporti con le entità non arabe e dunque anche con l’Iran, è ormai finita nel 1979, ed i timori si sono acuiti a partire dagli anni 90 del secolo scorso, ovvero da quando Teheran ha iniziato a far avanzare il suo programma nucleare, legato alle sue cospicue capacità balistiche. In linea di massima le operazioni regionali di Teheran, in particolare le puntate verso Israele dalla Siria dovrebbero contribuire a neutralizzare le minacce rivolte alle proprie strutture nucleari, senza contare che se l’Iran acquisisse lo status di potenza nucleare, si garantirebbe una ragionevole immunità da possibili rappresaglie. In ambito regionale il supporto iraniano ha permesso sia ai libanesi di Hezbollah di decuplicare la propria capacità missilistica, arrivando a circa 150mila tra razzi e missili, sia di implementare le capacità espresse dalle milizie sciite siriane[69]. Se da un lato la strategia iraniana ha contribuito ad innalzare il livello di guardia israeliano, dall’altro ha fatto sì che le relazioni bilaterali difensive tra Gerusalemme e alcuni player arabi e del Golfo, tra i quali alcuni che ancora non riconoscono Israele, si rafforzassero[70]; non a caso Israele ha auspicato una maggiore cooperazione militare tale da configurare una sorta di NATO mediorientale, un’ipotesi per il momento troppo avanzata per il Golfo, desideroso sì di mezzi difensivi ma al contempo timoroso di scatenare reazioni iraniane[71]; un’ipotesi che ha spinto CENTCOM[72] ad offrire ad Israele una posizione tale da permettere di condividere rapporti con ufficiali dei paesi d’area e con gli stessi statunitensi. La pragmatica strategia israeliana del resto poggia su tre punti: lo sviluppo di un’opzione militare coordinata con gli USA; il sabotaggio dei programmi balistici iraniani; la stipula di alleanze militari che privilegino la difesa aerea contro droni e missili[73]; attenzione però: se il JCPOA fallisce, la prospettiva che l’Iran si doti di armi nucleari – a fronte di protratte pressioni diplomatiche – diverrà più concreta, mentre se si dovesse mai addivenire al (difficile) ripristino degli accordi, Israele (cripto potenza nucleare che esercita una amimut policy[74]) dovrà assistere alla proiezione di potenza regionale iraniana. Un terzo scenario potrebbe essere quello di un JCPOA rafforzato che includa clausole sulla politica balistica e regionale iraniana, ipotesi tuttavia di fatto irrealistica da perseguire, dato che richiederebbe un forte indebolimento del regime islamico. Anche gli scontri tra Israele e Hamas fanno rammentare che il conflitto in Palestina è rimasto nell’ambito della competizione tra Arabia Saudita e Iran, con i sauditi disposti a flemmatizzare la questione palestinese in cambio del sostegno di Gerusalemme nell’arginare l’Iran.
Geografia e dottrine navali
Del resto la geografia dell’area non fa che incidere sui punti di faglia, amplificando l’instabilità che caratterizza lo Stretto di Hormuz, principale arteria di transito per il commercio di petrolio e di gas a livello mondiale[75], nonché braccio di mare in cui si infiamma il conflitto asimmetrico tra Iran e USA; un contesto in escalation dove si svolge una guerra virtuale fatta di intimidazioni e frequenti incidenti a bassa intensità. Giuridicamente le aree marittime di Hormuz fanno legalmente parte delle acque territoriali di Iran e Oman, che godono del diritto di controllare i commerci in transito. Nel Golfo Persico l’Iran si avvantaggia di un elemento strategico, dato che vi controlla ben sei isole tra cui quella di Abu Musa e Grande e Piccola Tunb, oggetto di contenzioso con gli EAU. Dal punto di vista navale la Marina iraniana, priva di unità moderne, può dirsi ispirata alle strategie di Sir Julian Corbett, esplicate con l’allestimento di una flotta deterrente[76] e/o con l’utilizzo di approcci asimmetrici di A2AD -anti-access/area denial, impedendo così alla talassocrazia di rango superiore di esercitare efficacemente il suo controllo; questo atteggiamento si attaglia peraltro all’ambito culturale sciita, dove trova ampio spazio la strategia del debole[77], focalizzata sullo sviluppo della Marina Pasdaran dedita, durante la guerra Iran-Iraq, alla guerriglia navale[78] a la Jeune École, per lasciare alla Marina convenzionale il perseguimento dell’aspetto dissuasivo grazie al principio della fleet-in-being unitamente allo sviluppo di un’accorta diplomazia navale. L’Iran ha operato in modo da evitare un confronto diretto sia con le forze dell’UE (EMASoH), sia con la 5^ Flotta della US Navy in sinergia con la Combined Task Force 153, concentrata sullo stretto di Bab el-Mandeb nel Mar Rosso, nel Golfo di Oman e nel Mar Arabico settentrionale[79], realizzando forze convenzionali tali da rendere elevato il costo di qualsiasi intervento. Di contro l’Iran nei confronti dei vicini arabi potrebbe tentare di utilizzare le proprie forze navali, purché si tratti di un conflitto limitato[80]. La mancanza di una strategia comune deriva dal fatto che tutti i paesi del Golfo evitano di perseguire una politica degli armamenti condivisa, capace di garantire uno spiegamento più completo ed efficace; le operazioni iraniane, se da un lato conducono ad un’escalation delle spese militari, dall’altro dimostrano la loro efficacia strategica, unitamente alla consueta ed accorta politica del divide et impera.
Tra Mosca, Pechino, Caracas
È utile notare come l’invasione russa abbia accelerato la look east policy iraniana verso Mosca, una direttrice seguita dal governo Raisi, precedentemente attratto dalle spire del Dragone cinese; una liaison fondata su progetti economici ed approvvigionamenti bellici ed addestramento su sistemi d’arma sia aeronautici che navali evoluti[81]. A fronte dell’attivismo russo–iraniano Pechino, che rimane l’unico grande acquirente del greggio di Teheran, ha preferito defilarsi in considerazione della già pervicace sindrome taiwanese tenuta desta da Washington. La Cina ha firmato con l’Iran un accordo di partenariato strategico globale per 25 anni, lasciando il margine per un’ulteriore cooperazione economica; le tensioni geopolitiche, tuttavia, lasciano i negoziati fluttuare in un limbo, vista anche la politica estera di Pechino, impegnata a creare un quadro di sicurezza collettiva nel Golfo che, pur mantenendo la distanza dai conflitti mediorientali, ha tuttavia tenuto conto delle rivendicazioni territoriali degli EAU scatenando le ire di Teheran che, oltre ad elevare proteste ed inviare note, dispone tuttavia di poche opzioni, visto che gli Stati del Golfo non sono soggetti a sanzioni e rimangono un mercato stabile per gli investimenti[82]. Sotto quest’ottica trova un senso la politica iraniana rivolta al Sud America, assurta all’onore delle cronache con il sequestro da parte argentina di un cargo battente bandiera venezuelana e proveniente dal Messico. Il piano di cooperazione ventennale tra Iran e Venezuela riguarda accordi economici e militari, per i quali l’Iran ha potuto trasportare merci di vario genere, utilizzando velivoli di nazioni alleate[83].
Conclusioni
Le proteste iraniane si stanno trasformando in un torrente che, malgrado l’impeto, non riesce a travolgere gli ostacoli, anche se di fatto il regime ha perduto una legittimità difficile da riconquistare, a meno che il regime stesso non persista con la dottrina Soleimani[84], lo stratega dell’espansione iraniana, l’unico in grado di comprendere e fare proprie le politiche della regione impiegando forze proxy, l’unico capace di realizzare la mezzaluna che dall’Iran attraversa Iraq e Siria fino al Libano; una legittimità più difficilmente perseguibile cronicizzando il trito refrain del complotto esterno; una legittimità di cui riappropriarsi per la strada più difficile, tentando di alleggerire le sanzioni ricercando accordi più favorevoli. In ogni caso, al momento l’apparato dello Stato ha scricchiolato, ma non ha ceduto né sembra essere stato tradito dai suoi fedeli, tutti elementi indispensabili per un collasso istituzionale.
La chiave di volta, se emergesse una leadership delle contestazioni, risiederebbe nel disvelamento del fallimento del modello politico, economico e sociale che, con effetto domino, sarebbe seguito da analoghe rivolte nei Paesi che fanno parte, o vengono lambiti anche solo ideologicamente dalla mezzaluna sciita, ovvero Siria, Iraq, Yemen, Libano e Gaza, dove l’influenza di Teheran potrebbe tendere a scemare.
Altro motivo di instabilità risiede nella richiesta sciita di infrangere il regime monopolistico sunnita che permea la Mecca, una pretesa che destabilizzerebbe Riyadh. Poteva mancare il ritorno di fiamma nucleare? No, assolutamente. La questione atomica iraniana e l’accaparramento di uranio, malgrado CIA e Mossad, si associa sia alla reiterata e recente minaccia nucleare russa, sia alla fornitura di armi a Mosca. Visto l’andamento del JCPOA, la chimerica normalizzazione obamiana delle relazioni tra Washington e Teheran deve considerarsi dissolta visto che, peraltro, quanto incassato dopo il 2015 all’atto del primo accordo, è stato impiegato per rafforzare le capacità militari Pasdaran.
A fronte dell’evidente difficoltà di intervenire per via esogena sull’ideologia, nell’House of Cards di Teheran cominciano a prendere forma i giochi in previsione della sostituzione di Khamenei, che ha invano tentato di ipotecare la sua successione favorendo il figlio Mojtaba; politicamente un evento che sminuirebbe la rilevanza della rivolta dei veli, che nel frattempo ha strappato a Khamenei la promessa di una simil grazia giudiziaria per taluni reclusi. Mentre i valori nazionali e storici riprendono a far sentire la loro eco culturale, l’Islam politico non appare in grado di fornire risposte ad una generazione di millennial priva di fondamenti ideologici. C’è tuttavia da considerare anche la natura ibrida della Repubblica islamica che, come l’acqua, prende forme diverse cercando il modo migliore per sopravvivere, magari anche a sé stessa. La clergy therapy, o knocking off turbans, operata dai giovani per le strade, è indicativa di un declino comunque serpeggiante e di un dissenso che si è comunque esteso.
Ma è auspicabile un regime change dove i riformatori non sono, né mai saranno, rivoluzionari? Il regime può dunque implodere?
Certo, come tutti i regimi, ma cosa attendersi dopo?
Rimanendo sulla fanta-geopolitica, potrebbe facilmente prendere il sopravvento la fazione Pasdaran, reale detentrice di un potere non più condiviso con la teocrazia sciita funzionale a salvare le apparenze più formali; del resto avrebbe già dovuto apparire quanto meno singolare che l’Iran, culturalmente e storicamente così ricco e antico e con afflati laici, avesse optato per una rivoluzione a carattere rigidamente religioso. Realisticamente si può presumere che i Pasdaran siano già pronti a mantenere un dominio più che ampio, approfittando dell’insediamento di una Guida Suprema non in possesso di tutti i poteri attualmente detenuti da Khamenei. L’offerta governativa iraniana sul mercato sociopolitico offre ricavi esigui: il richiamo alla guerra vera contro Israele, che non potrebbe che essere devastante, non attira masse oceaniche votate asceticamente al martirio; il Libano soffre la pervasività degli sciiti di Hezbollah, mentre nel più prossimo Iraq si sono registrate reazioni negative affini a quelle libanesi: forse l’attrattività ideologica iraniana ha perso il suo appeal.
A meno che l’Iran non sviluppi il suo soft power e che non provveda a lenire le preoccupazioni delle nuove generazioni, la sua egemonia sulla società araba rimarrà instabile. Il potere del clero fatalmente si ridurrà con il ritorno ad un nazionalismo secolare, certamente non islamico.
Se all’interno dell’universo Pasdaran si sostanziasse una frattura tra laici e devoti, l’Iran potrebbe davvero giungere a trasformarsi in una dittatura militare nazionalista non così bene accetta da una società che potrebbe fare la tara tra regimi di Dio e regimi dei guerrieri, optando per un arduo tertium democratico che tenga conto della normale evoluzione storica. In ambito politico internazionale, laddove le entente tra Turchia, Russia e Iran rimangono di opportunità reciproca, il prof. Abdolreza Faraji-Rad[85] ritiene che, proprio come la Cina ha mutato la sua politica a svantaggio dell’Iran[86], così l’Iran deve prepararsi alla possibilità che la Russia possa rivolgersi all’Occidente tentando di raggiungere un accordo di cessate il fuoco in Ucraina, aspetto questo che andrebbe a discapito dei legami con Teheran.
Non c’è dubbio che l’Iran si attenda una ricompensa per aver strategicamente deciso di rimanere al fianco della Russia a livello militare[87] ed economico, come è evidente che Teheran stimi di poter rivestire una posizione di rilievo nel nuovo ordine globale emergente, aspetto questo particolarmente temuto da Israele.
[1] Serse I, per trasferire il suo esercito avanzò sull’Ellesponto che separava l’Asia dall’Europa. Fu dunque ordinata la costruzione di un ponte di barche attraverso lo stretto. Prima che l’esercito persiano potesse utilizzare il ponte, scoppiò una tempesta che distrusse la struttura. Serse ordinò ai suoi soldati di punire il mare per la disobbedienza, frustandolo e marchiandolo a fuoco. La storia riporta, inoltre, la decapitazione degli ingegneri responsabili.
[2] A seguito della nazionalizzazione del greggio, la Gran Bretagna bloccò i capitali iraniani nelle sue banche, rafforzò la sua presenza militare nel Golfo, ed attuò un blocco navale disponendo un embargo commerciale. Nell’agosto del 1953 Mossadeq, che si era opposto alle richieste di riforme islamiche dell’ayatollah Kashani, fu destituito con l’Operazione Ajax
[3] Vd. rottura dei rapporti con USA, Israele, e le relazioni di interesse intrattenute con la Russia, in passato vista come possibile egemone invasore dopo l’attacco all’Afghanistan
[4] In Iran, a fronte del gran numero ufficiale di partiti, non ci sono né tradizione né disciplina di schieramento, né tanto meno stesura e rispetto di programmi politici.
[5] Secondo gli imamiti gli imam sono stati tutti assassinati per mano sunnita. Il 12^ imam, Muhammad al Mahdi, tuttavia non è morto ma entrato in occultamento. Apparirà nel giorno del giudizio come Mahdi, colui che guida ed è guidato da Dio.
[6] Teologi sciiti sostenitori della distinzione tra poteri.
[7] Ali Shariati (1933-1977), sociologo, filosofo e studioso del marxismo, viene considerato l’ideologo della Rivoluzione del 1979 che ha portato alla proclamazione della Repubblica islamica.
[8] Da ricordare l’operazione Praying Mantis compiuta il 18 aprile 1988 nel Golfo Persico da forze aeronavali statunitensi contro installazioni petrolifere e unità militari iraniane, sullo sfondo del conflitto Iran Iraq. Iniziata come rappresaglia per il danneggiamento di un’unità americana causato da una mina iraniana, l’operazione condusse alla distruzione di due piattaforme petrolifere iraniane e all’affondamento ed al danneggiamento di diverse unità della Marina iraniana. Lo scontro, insieme con l’abbattimento da parte della USS Vincennes il 3 luglio 1988 del Volo Iran Air 655, contribuì alla cessazione delle ostilità con l’Iraq.
[9] Si assiste allo sviluppo di un’industria missilistica in grado di realizzare vettori con deterrenza regionale, soprattutto nei confronti di Israele e Arabia Saudita. L’Iran intende garantire capacità controffensive, incrementando il costo bellico fino all’insostenibilità anche da un punto di vista delle perdite umane. Data la produzione missilistica, USA e Israele ritengono che l’Iran voglia dotarsi di una capacità offensiva. L’efficienza delle FA è visibile nel settore della difesa aerea, della missilistica e della sperimentazione dei mezzi unmanned, con notevoli progressi nella cyberdefence.
[10] Hezbollah libanese, il siriano Assad, l’Iraq.
[11] Sepah-e Pasdaran-e Enghelab-e Eslami, i Pasdaran.
[12] Lega dei Giusti.
[13] Religioso ortodosso, è stato per oltre 10 anni a capo dell’intelligence Pasdaran.
[14] Zohreh Elahian, deputata iraniana della commissione parlamentare per la sicurezza nazionale e la politica estera, ha ammonito l’UE: “Dovrebbe sapere che qualificare le Guardie della rivoluzione come un’organizzazione terroristica e imporre nuove sanzioni comporterà un caro prezzo per gli Stati europei”. Anche l’ambasciatore iraniano in Italia, Soburi, ha fatto cenno ad una “linea rossa da non oltrepassare” nel caso i Pasdaran fossero stati coinvolti.
[15] USA e Israele hanno accusato l’Iran di terrorismo in MO e oltre. L’Iran fornisce finanziamenti, addestramento e armi al libanese Hezbollah e ai gruppi palestinesi Hamas e Jihad islamica nella Striscia di Gaza. L’Iran afferma che le organizzazioni che sostiene sono gruppi di resistenza che combattono l’aggressione israelo – americana.
[16] Un settore caratterizzato dall’avvicinamento tra Iran e Russia è quello energetico. Russia e Iran hanno firmato un MoU in base al quale la Russia investirà 40 miliardi di dollari in progetti gasieri iraniani, anche se è inverosimile che accordi di tale imponenza vengano realizzati. In termini finanziari rimane da comprendere chi riuscirà ad entrare e rimanere sul mercato di chi.
[17] La competizione politica ha raggiunto anche il presidente del Majles Mohammad Baqer Qalibaf, coinvolto nel febbraio 2022 nella pubblicazione di una registrazione audio attestante un incontro tra l’ex comandante dei Pasdaran Mohammad Ali Jafari ed il suo vice per l’edilizia e gli affari economici Sadeq Zolqadrnia, in cui si discuteva del presunto coinvolgimento di Qalibaf in episodi di corruzione durante il suo mandato come sindaco di Teheran tra il 2005 ed 2017.
[18] Hanno continuato a palesarsi manifestazioni occasionali di disobbedienza civile, con donne senza velo in pubblico, graffiti e cori contro il regime, giovani che praticano il Turban_Throwing ai religiosi nelle strade, raduni non violenti in seguito all’esecuzione di detenuti.
[19] Vd. la presunta abolizione della Polizia Morale, ancora non chiaramente dichiarata dal governo.
[20] Va rammentato che gli interventi del leader supremo, Khamenei, non hanno palesato alcuna volontà di scendere a compromessi. In più di un’occasione Khamenei ha attribuito la responsabilità della protesta ai nemici esterni dell’Iran che puntano ad un cambio di regime, e ha elogiato i Basij per aver represso i “rivoltosi”.
[21] Le modalità repressive di Teheran stanno allontanando l’Occidente e la possibilità di rilanciare l’accordo sul nucleare del 2015, senza contare gli interventi conoscitivi delle NU sulle repressioni. Per il think tank Carnegie, l’esecuzione per spionaggio dell’ex viceministro della difesa Alireza Akbari, cittadino britannico al decadere del suo incarico, costituisce un verdetto inaspettato indicativo di una lotta di potere ad alto livello su come gestire le proteste.
[22] Il sociologo Hamidreza Jalaei-Pour ha messo sia sull’avviso circa instabilità e creazione di condizioni rivoluzionarie, sia sul fatto che il regime detenga la capacità di impedire una rivoluzione. In un’intervista al riformista Etemad, Jalaei-Pour ha affermato che senza volontà governativa di accettare riforme non sarà possibile sopravvivere alla crisi rafforzando il potere dei radicali.
[23] I Rokes, originariamente conosciuti come Shel Carson Combo, sono stati un gruppo di musica beat inglese, che ha raggiunto il successo in Italia, vendendo più di 5 milioni di dischi; “Che colpa abbiamo noi” è un brano del gruppo ancora noto.
[24] A giugno 2021 il Consiglio dei guardiani ha bocciato la candidatura alle elezioni presidenziali del riformista Tajzadeh, che ha accusato Khamenei di essere responsabile del fallimento dei negoziati JCPOA. L’opposizione al governo ha sostenuto che l’arresto di Tajzadeh ha mostrato una volta di più il fallimento riformista e l’inutilità di riforme limitate. Il regista Jafar Panahi, arrestato a luglio per aver dimostrato per la liberazione dei registi Rasoulof e al Ahmad, ha iniziato in febbraio uno sciopero della fame
[25] Da ricordare che le classi oppresse note come Mostazafin , che il clero aveva promesso di proteggere, si sono trasformate nei più inflessibili critici del regime.
[26] In Iran operano agenzie specifiche che si occupano del cyberspazio (vd. l’Alto Consiglio del Cyberspazio, alle dipendenze da Khamenei. Ci sono poi entità più affini a free lance, come l’Iranian Cyber Army, gruppo anonimo dedito all’hackeraggio di Twitter. Secondo The National Interest (aprile 2022), Teheran ha contribuito a creare l’unità di controspionaggio cyber di Hezbollah. Jawad Hassan Nasrallah , figlio del leader Hezbollah Hassan Nasrallah, vi presta servizio.
[27] In Iran’s Cyber Assault on America, Charles Denyer illustra le origini della dottrina asimmetrica di Teheran che si avvale della guerra informatica contro gli Stati Uniti grazie ad hacker, una considerazione rafforzata dalle valutazioni espresse dal National Cyber Directorate di Israele.
[28] Secondo la Unit 42 della società americana di sicurezza Palo Alto Networks e Cypherleak con sede a Dubai e nel Delaware, gli hacker cinesi di Playful Taurus hanno attaccato le piattaforme governative iraniane da luglio a dicembre del 2022, con l’obiettivo di estrarre dati. Data la natura, l’attacco, è stato probabilmente condotto da un ente governativo mantenendo l’anonimato. Sempre secondo Palo Alto il gruppo cinese, variamente denominato (APT15, Vixen Panda, Backdoor Diplomacy, KeChang e NICKEL), è stato impegnato in campagne spionistiche dal 2010. È noto che il gruppo miri a governi e organizzazioni diplomatiche estese dal Nord al Sud America fino al MO. Il gruppo è stato scoperto grazie agli hack che utilizzano un malware chiamato Turian, che Palo Alto Networks ritiene esclusivo di Playful Taurus.
[29] Il medico franco-venezuelano Moises Luis Zagala Gonzalez è stato accusato di aver venduto il ransomware Thanos a MuddyWater, un gruppo di hacker che lavora per il Ministero dell’intelligence e della sicurezza iraniano. Thanos è un software che aggira le protezioni, ruba informazioni e blocca l’accesso fino al pagamento di un riscatto. A fine febbraio 2022 gli angloamericani hanno lanciato un warning circa l’attività di spionaggio informatico mondiale che MuddyWater stava conducendo in connessione con l’invasione russa dell’Ucraina.
[30] Rocket Kitten, gruppo informatico iraniano, ha attaccato ripetutamente le industrie della difesa statunitensi, impadronendosi dei dati necessari al potenziamento dei programmi missilistici e spaziali.
[31] J.M. Keynes, economista britannico e padre della macroeconomia.
[32] Secondo Esfandyar Batmanghelidj, fondatore e Ceo del think tank Bourse & Bazaar Foundation, lo sviluppo del movimento di protesta è frenato anche dalla situazione economica del Paese: “a differenti livelli della società, i fattori economici stiano influenzando, in parte, la volontà o la possibilità di unirsi alle proteste”. “Da una parte, ci sono classe e media e operaia, le cui entrate dipendono per lo più dagli stipendi e che sono preoccupate dall’inflazione che ogni mese erode il loro potere d’acquisto. Chi se lo può permettere sta comprando valuta forte, oro, azioni o immobili“. “Dall’altra parte, ci sono le élite economica e politica, che detengono questi beni di cui si registra crescente richiesta e che quindi si arricchisce nonostante la crisi“.
[33] Le manifestazioni si sono estese principalmente nella provincia sudoccidentale del Khuzestan e sono state represse duramente da parte delle forze di sicurezza. Sperando di contenere il contraccolpo politico sulla riforma dei sussidi, il presidente Raisi ha annunciato un nuovo programma di trasferimento di denaro (basato sulle diverse fasce di reddito) per risarcire i cittadini iraniani. Il punto di rottura è stato raggiunto quando in maggio il governo Raisi ha ridimensionato i sussidi per grano e farina, una mossa che ha portato ad un aumento dei prezzi fino al 300% .
[34] Le proteste forniscono prova della gravità della crisi economica, alimentata da un’inflazione elevata a circa il 40%, con debito pubblico gonfiato e grave disavanzo di bilancio. Il ryal in cinque anni ha perso dieci volte il suo valore rispetto al dollaro; da ottobre 2022 si è passati da 330 mila rial per un dollaro a 450 mila.
[35] Il toman è un multiplo del riyal. Il toman, il cui nome deriva da una parola turca che significa “dieci migliaia”, è stato la valuta dell’Iran fino al 1932.
[36] L’esecuzione dell’ordine dell’Imam Khomeini o semplicemente Setad , è un’organizzazione parastatale sotto il diretto controllo della Guida Suprema. La Setad è stata creata grazie alla confisca di migliaia di proprietà nel 1979. Se Khomeini aveva ordinato di distribuire in beneficenza i beni confiscati, sotto Khamenei, l’organizzazione ha acquisito proprietà per sé stessa. I suoi consuntivi sono segreti anche per il parlamento. La Fondazione Barakat è un fondo di beneficienza affiliato alla Setad, ed è controllato dalla Guida Suprema.
[37] Si tratta di Shahed-136, in russo Geran-2,
[38] Israele deve essere preparato ad attacchi portati sul suo territorio da droni simili. Negli ultimi anni i droni sono passati dall’essere armi di nicchia a sistemi diffusi, disponibili anche per stati falliti, canaglia e organizzazioni non statali.
[39] L’ingresso dell’Iran nel conflitto, affine alla fornitura turca di droni TB2 all’esercito ucraino, indica un significativo cambiamento geopolitico. Nell’ultima decade la tecnologia dei droni è progredita con potenze emergenti come Iran, Turchia, Israele e EAU in prima linea. Per Mosca i droni iraniani presentano un punto di forza inarrivabile: il basso costo, 20.000 dollari per unità a fronte dei missili da crociera Kalibr, del valore 1 milione di dollari ciascuno. I droni TB2 turchi utilizzati dagli ucraini hanno un valore compreso tra 1 e 2 milioni di dollari per unità senza contare il costo della piattaforma.
[40] Joint Comprehensive Plan of Action, sul nucleare iraniano.
[41] I Pasdaran controllano petrolio, gas, edilizia, banche, telecomunicazioni. L’ascesa si è verificata sotto la presidenza Ahmadinejad, per proseguire sotto quella Rouhani. Da ricordare che i Pasdaran fanno capo alla Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei
[42] La maggior parte delle politiche repressive sono attuate in nome della religione. In Bahrain, dove la popolazione è a maggioranza sciita, la morte di Mahsa ha condotto ad un dibattito sull’uso dell’hijab.
[43] Da Il Gazzettino del 16 gennaio 2023. Secondo Mohammad-Mehdi Hosseini Hamedani, l’imam che guida la preghiera del venerdì nella città di Karaj, la siccità in Iran è da attribuire alla ribellione delle donne che non vogliono più indossare il velo.
[44] L’ex ministro degli esteri Javad Zarif, l’ex presidente del parlamento Ali Larijani, il nipote dell’Ayatollah Khomeini, Hossein Khomeini, hanno consigliato al governo di non usare la forza ed ascoltare i manifestanti. In proposito Badri Hosseini Khamenei, sorella di Khamenei e sua figlia, Farideh Moradkhani, hanno criticato la Guida Suprema.
[45] Vd. Intervista del 26 settembre 1979 de Il Corriere della Sera. “E la voce che per tutto quel tempo era rimasta fioca, quasi l’eco di un sussurro, divenne sonora. Squillante”. “Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non riguardano voi occidentali. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene” “Prego?”. “Ho detto: se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Il chador è per le donne giovani e perbene”. “Grazie, signor Khomeini. Lei è molto educato, un vero gentiluomo. La accontento sui due piedi. Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo”.
[46] Dopo il rifiuto del presidente iraniano Ebrahim Raisi a rilasciare un’intervista a Christiane Amanpour perché non indossava il velo, la stessa Amanpour, giornalista della Cnn, ha pubblicato la fotografia della sedia lasciata vuota da Raisi, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York.
[47] G. Marini, D. Modugno, E. Bonaccorti.
[48] Secondo i dati di inizio 2021 del Consiglio supremo per gli affari iraniani, più di quattro milioni di iraniani vivono fuori dall’Iran: il 47% in America (USA e Canada), il 29% in Europa (Gran Bretagna, Germania, Svezia e Francia), il 14 % nei paesi arabi e in Africa (EAU e Iraq), il 10% in Asia e Oceania (Turchia, Australia e Malesia).
[49] Secondo il Centro statistico iraniano, tra 2019 e 2020 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 26% nella fascia tra i 15 ei 24 anni e il 17,9% per quella tra i 18 ei 35 anni. La disoccupazione colpisce principalmente i giovani istruiti perché il tasso di crescita correlato all’istruzione superiore non corrisponde alle esigenze economiche ed alla capacità politica di produrre nuovi posti di lavoro.
[50] 4 ottobre 2022, Benoit Faucon.
[51] La circospezione americana nei confronti delle proteste si rivela è politicamente corretta; comportamenti alternativi non agevolerebbero i manifestanti e potrebbero indurre l’Iran a perseguire un trend ancora più rigido.
[52] Agosto 2022.
[53] Al 9.8% nel 2021, il tasso di disoccupazione nel 2022 ha superato i dieci punti percentuali. Il Word Economic Outlook del FMI ad aprile 2022 prevedeva che il tasso avrebbe toccato il 10,2% per salire nel 2023 al 10,3%.
[54] La valuta iraniana è in particolare sofferenza dal 2020, quando gli Usa imposero nuove sanzioni con cui l’intero settore bancario iraniano veniva escluso dal sistema finanziario globale.
[55] Esfandyar Batmanghelidj afferma che, al di là di sporadici scioperi nei settori petrolifero o dei trasporti su gomma, i lavoratori “di fatto non sono stati politicamente attivi“, perché “sono meno organizzati rispetto al passato, sia a causa delle politiche antisindacali della Repubblica islamica, sia a causa dell’espansione del settore privato che ha frammentato la forza lavoro, ma sono anche in una posizione più precaria. Sono più soggetti a licenziamenti, dunque ricattabili, e in condizioni così difficili, con l’economia iraniana che appare diretta verso la recessione, non possono permettersi di perdere lo stipendio, se non lo stesso posto di lavoro“. “…a differenza della diffusa convinzione secondo cui le difficoltà economiche contribuiscono ad aumentare la rabbia della popolazione e quindi a rendere più plausibile una rivoluzione, ritengo ci sia invece la possibilità che frenino l’attuazione del processo politico, necessario per arrivare a un cambiamento, a una riconciliazione tra Stato e società”. “Altri Paesi…come Iraq e Libano hanno avuto significative crisi economiche per un periodo più lungo dell’Iran, se crediamo davvero che i problemi economici portino a momenti di trasformazione politica, avremmo già dovuto vedere cambiamenti politici in Iraq e Libano”.
[56] Fonte Atlantic Council: da quando sono entrate in vigore le sanzioni la classe media ha perso spessore per almeno il 10% scendendo al 48,8% nel 2019. Al giorno d’oggi può definirsi classe media solo il 35% della popolazione.
[57] Secondo l’Iran Migration Observatory, il 71% dei medici, il 40% delle infermiere e più del 70% dei docenti e dei laureati intendono lasciare il Paese.
[58] Il conservatore Mohammad Mohajeri ha definito il governo Raisi uno dei governi più deboli dalla Rivoluzione islamica. Ad aprile 2022 il quotidiano Javan , vicino ai Pasdaran, ha criticato la dichiarazione di Raisi che attribuiva a gruppi occulti il continuo aumento dei prezzi. Sempre in aprile, il quotidiano conservatore Resalat ha criticato la gestione della crisi inflazionistica. L’intransigente Ahmad Khatami, imam della preghiera del venerdì di Teheran, nel suo sermone del 22 aprile, esortato il presidente ad intraprendere un’azione più valida per limitare l’aumento dei prezzi, in quanto forieri di disordini.
[59] La fiducia degli iraniani per le istituzioni sta crollando. Per le presidenziali del 2021 il tasso di astensione ha raggiunto livelli record arrivando al 51%, per le legislative del 2020 il 57%.
[60] Patrick Jake O’Rourke, giornalista e scrittore
[61] Ebrahim Raisi si appresta a marzo prossimo a varare la nuova finanziaria. Malgrado la recessione economica, il regime investirà 119 miliardi di euro su difesa, sicurezza interna ed istituzioni religiose
[62] S. Kubrick, il Dottor Stranamore
[63] Nell’ambito di un accordo di maggiore portata, le parti dovrebbero cercare di gestire i conflitti secondo le linee indicate da un nuovo accordo più ristretto o da una serie di accordi una tantum su questioni ad hoc. Opzioni: 1) More for more: considerato che sia gli USA che l’Iran cercano vantaggi che la controparte considera eccedenti i parametri JCPOA, si potrebbero negoziare le richieste come parte di un patto che ampli la portata delle trattative. 2) Less for less: consiste nel trasferire i colloqui su accordi provvisori puntati alle attività indirizzate alla proliferazione intraprese da Teheran, insieme al ripristino delle verifiche dell’AIEA, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni americane sulle esportazioni petrolifere con lo scongelamento dei beni bloccati. Realisticamente va rammentato che il segretario di Stato americano Blinken ha riferito al suo omologo israeliano Eli Cohen che il JCPOA è più o meno morto, secondo una nota di Israel Hayom. Sono dunque possibili tre scenari: raggiungimento di un accordo; stagnazione continua con colloqui a bassa intensità; fallimento dei negoziati.
[64] Le questioni controverse sono 3. La prima riguarda l’indagine dell’AIEA sulle pregresse attività nucleari iraniane in tre siti non dichiarati. Durante i colloqui viennesi l’Iran ha cercato invano di far chiudere incondizionatamente l’indagine come parte di un accordo finale. Rendendo pubblico il passato l’indagine validerebbe le informazioni sottratte dagli israeliani nel 2018. La seconda concerne la portata delle sanzioni americane, fondata sulla designazione dei Pasdaran come organizzazione terroristica straniera. L’amministrazione Biden ha proposto due volte di rimuovere i Pasdaran ma solo negoziando un accordo più lungo e più forte dopo il ripristino del JCPOA, e solo previo reciproco accordo di non perseguire rivalse connesse all’eliminazione del generale Soleimani. La terza questione riguarda la durata e l’affidabilità della revisione delle sanzioni statunitensi, un accordo che faciliterebbe a Teheran entrate petrolifere per miliardi di dollari con il ritorno alla fruizione di decine di miliardi di attività detenute all’estero. Il timore è che anche solo l’alea del ritorno delle sanzioni determini un’incertezza a breve termine più dannosa della prevedibilità a lungo termine.
[65] Anche eventi extra negoziati, come l’eliminazione di uno scienziato nucleare, potrebbero portare ad un’escalation.
[66] Sul fronte economico, nonostante inflazione e disoccupazione, l’Iran potrebbe considerare lo status quo tollerabile, tanto che, grazie ai tentativi di de-escalation in atto, a Teheran potrebbero aver concluso che attrito con l’Occidente e distensione regionale possono coesistere.
[67] Gli USA hanno privilegiato le azioni volte a perfezionare il coordinamento con gli alleati nella regione per annullare la minaccia di missili e droni, oltre alla sicurezza marittima.
[68] Nemici strategici perché connessi ai curdi turchi del fronte combattente del PKK. Per Erdogan essere coinvolto in Siria serviva per un progetto complesso: sostituire il controllo territoriale della fascia che circonda il confine turco dal lato siriano. L’operazione è riuscita a nord-ovest, dove operano milizie sunnite pro turche (già viste in Libia e Nagorno Karabakh).
[69] Il timore americano si è espresso verso la possibile coreanizzazione dell’area, ovvero un abusare della pazienza strategica di marca Obamiana che ha permesso a Pyongyang di condurre test missilistici e nucleari
[70] Vd. Giordania, Egitto, Marocco, Arabia Saudita, EAU, Bahrein, Oman, Qatar; l’Iran cercherà comunque di destabilizzare la Giordania, oltre che a considerare l’uso di proxy in Libano, Yemen, Iraq e Siria per tenere alta la tensione.
[71] Teheran ha chiarito che se da un lato tollererà la normalizzazione dei rapporti con Israele da parte degli Stati del Golfo, dall’altro interverrà militarmente laddove ad Israele fosse consentito utilizzare il loro territorio per operazioni militari o di intelligence contro l’Iran.
[72] CENTCOM è il Comando Strategico USA per l’Asia Occidentale.
[73] Attacco nel settembre 2019 contro gli impianti della compagnia petrolifera Aramco in Arabia Saudita. Gli Houthi hanno condotto un altro attacco con droni a un impianto petrolifero in Arabia Saudita, insieme a un altro attacco contro l’aeroporto di Abu Dhabi e dozzine di attacchi in Iraq a obiettivi detenuti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti. L’aspetto della difesa aerea è reso ulteriormente complicato dalla differenza dei sistemi d’arma: Israele ne gestisce di produzione nazionale – Iron Dome, David’s Sling – mentre altri paesi della regione annoverano un assortimento eterogeneo di sistemi americani, russi e cinesi.
[74] Politica dell’ambiguità.
[75] Da qui passano le esportazioni saudite, seguite da Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar. Hormuz è punto sensibile anche per le priorità di diversi Paesi asiatici; in termini di volumi la Cina è il più grande importatore di petrolio dalla regione, seguita da India, Giappone, Corea del Sud e Singapore.
[76] Pattugliatori, unità costiere; le unità maggiori risalgono al periodo prerivoluzionario
[77] Definita in campo strategico come quell’approccio proprio della potenza inferiore che cerca stallo e usura avversari attraverso mezzi non convenzionali e asimmetrici.
[78] La strategia iraniana si è focalizzata su piccole unità costiere in grado di depositare mine, su missili anti-nave cinesi, russi o nord-coreani, e su sottomarini di tipo midget (classe Yono e Ghadir), piccoli e lenti ma idonei per le acque poco profonde del Golfo.
[79] Al proposito, il comandante della marina Pasdaran ha ammonito gli Stati del Golfo di non stringere relazioni con Israele minacciando la tenuta della stabilità regionale. Allo stesso tempo Artesh ha annunciato la costituzione di una nuova unità di droni nell’Oceano Indiano.
[80] Malgrado la combinazione delle forze del Consiglio di Cooperazione del Golfo rappresenti il doppio di quelle iraniane, la mancanza di una coerente strategia cooperativa priva di possibilità i paesi arabi del Golfo, che privilegiano la cooperazione bilaterale.
[81] Per quanto concerne la cooperazione da rammentare il piano per la realizzazione della rotta commerciale di 3000 km, che dovrebbe estendersi dall’occidente russo attraverso l’Iran fino all’India; una rotta meno sensibile alle sanzioni e al monitoraggio occidentali utile per collegare il fiume Volga con il Mar d’Azov.
[82] Nel tentativo di porre rimedio, il vice premier cinese Hu Chunhua ha visitato EAU e Iran dopo la visita di Xi in Arabia Saudita. A Teheran, Hu ha negoziato le modalità per migliorare la partnership strategica globale 25ennale; nonostante ciò, il presidente Ebrahim Raisi ha espresso “insoddisfazione” chiedendo “risarcimenti” per le posizioni assunte dalla Cina.
[83] I voli, inziati nel 2007, hanno consentito a Teheran di trasferire uranio per il suo programma. Le sigarette di fabbricazione paraguaiana provenivano da Tabacalera del Este SA, di proprietà dell’ex presidente del Paraguay Horacio Cartes, che ha consentito a Hezbollah di operare azioni di contrabbando. Il commercio illecito di tabacco, in particolare in America Latina è diventato una fonte di reddito notevole per Hezbollah. L’opposizione venezuelana nel 2010 ha affermato che l’Iran ha ottenuto i diritti minerari per utilizzare le risorse di uranio venezuelano, e che alcuni campioni erano stati trasportati attraverso Damasco da Caracas a Teheran.
[84] Basata sull’oscuramento internet e social.
[85] Ex direttore generale del Consiglio strategico per le relazioni estere in Iran
[86] Vd. caso delle isole Abu Musa e della Grande e Piccola Tunb
[87] È possibile che l’Iran cerchi cooperazione nel campo dei sottomarini a propulsione nucleare; Secondo il Washington Post, l’Iran è prossimo a trasferire in Russia un lotto di missili balistici, che includerebbero due tipi di missili superficie-superficie di fabbricazione iraniana, i Fateh-110 e gli Zolfaghar.