Scarica il file in PDF – Risorse energetiche nel Mediterraneo Orientale-Marco Marino-giugno 2021
Risorse energetiche nel Mediterraneo Orientale
Marco Marino
- Nuovi equilibri per nuovi interessi
Dall’abbattimento del caccia russo SU-24 da parte di caccia turchi F-16 e dal successivo sviluppo, le relazioni diplomatiche russo-turche sono arrivate al loro punto più basso. Sul campo energetico, dove la Turchia è vulnerabile, Mosca ha annullato la costruzione del Turk-Stream, che trasferirebbe il gas naturale russo in Europa attraverso la Turchia, mentre Ankara è diventata l’ostaggio energetico del Cremlino, poiché importa dalla Russia il 50% del gas naturale consumato. In queste circostanze, Ankara ha tentato di normalizzare le relazioni israelo-turche, con vantaggi energetici reciproci come argomento centrale.
Più specificamente, il presidente turco, Tajip Erdogan, aveva dichiarato nel gennaio 2016: “Israele ha bisogno di un Paese come la Turchia nella regione, e anche noi dobbiamo accettare che abbiamo bisogno di Israele. Questa è una realtà nella regione. Se vengono attuati passi reciproci basati sulla sincerità, seguirà la normalizzazione”.[1]
Si potrebbe sostenere che ci fossero ragioni di reciproco vantaggio per un riavvicinamento israelo-turco. La prospettiva futura di co-sfruttamento delle riserve di gas naturale nel Mediterraneo Orientale era la ragione principale, dal momento che Israele desiderava esportare gas naturale dal giacimento di gas Leviathan in Europa attraverso tutte le rotte possibili. D’altra parte, la Turchia avrebbe garantito una notevole quantità di gas naturale per il consumo interno e sarebbe entrata nella mappa del trasporto di gas naturale del Mediterraneo Orientale verso l’Europa.
Il governo di Netanyahu stava già cercando di concludere accordi con i governi di Nicosia e Atene per l’esportazione del gas naturale israeliano, mentre alcuni esponenti dell’economia sostenevano che una rotta aggiuntiva (quella della Turchia) avrebbe aumentato il suo potere negoziale e al tempo stesso accelerato l’esportazione del gas naturale israeliano. Infine, bisogna considerare che la Turchia e Israele sono tradizionalmente partner strategici degli Stati Uniti. A seguito di una lunga e grave deviazione della Turchia da questa politica tradizionale, che ha sollevato una serie di domande da parte dei partner della N.A.T.O. sulla vera posizione politica di Ankara, un riavvicinamento e una cooperazione tra Ankara e Gerusalemme sarebbe stata estremamente soddisfacente per Washington.
Tutto ciò si inserisce tra la mancata risoluzione del problema di Cipro, il continuo blocco della Striscia di Gaza da parte di Israele e la cooperazione strategica tra Gerusalemme-Nicosia-Atene con sinergie politiche, militari ed energetiche. Inoltre, è chiaro che qualsiasi proposta di riavvicinamento turco-israeliano di Ankara potesse disturbare i rapporti di Israele con le altre forze regionali.
In effetti, sembrava che ci fossero gruppi imprenditoriali all’interno di Israele che trovassero il riavvicinamento israelo-turco vantaggioso per i propri interessi microeconomici e che lo promuovessero attivamente attraverso relazioni energetiche e accordi energetici ufficiali.[2] Tuttavia, poiché la sicurezza nazionale di Israele è la priorità assoluta per Gerusalemme, la posizione ufficiale israeliana tende fortemente verso un allineamento strategico greco-israeliano. La dichiarazione del brigadiere Giora Eiland però era stata indicativa delle intenzioni dello Stato israeliano sulla questione: “viene esaminato l’uso degli impianti GNL esistenti in Egitto. L’altra opzione, la costruzione del gasdotto verso la Grecia, è la via politica preferita e il modo più sicuro per interconnettersi con l’Europa.”[3]
D’altra parte, l’allora ministro israeliano dell’energia, Shirvan Shalom, aveva proposto la soluzione nel Mediterraneo Orientale dei Paesi europei mediterranei durante l’incontro di Roma tra il 18 e il 19 novembre 2014, come una monumentale costruzione tecnica di immenso significato politico,[4] sottolineando che il progetto avrebbe richiesto investimenti dall’Europa di decine di miliardi di euro. Considerando la sicurezza nazionale di Israele e gli interessi in gioco, era chiaro che gli interessi commerciali non avrebbero prevalso. Inoltre, dato che questa era anche la tendenza politica internazionale, Israele non avrebbe mai messo a repentaglio la sua sicurezza nazionale in un settore così cruciale come l’energia.
Come menzionato da Raphael Metais: “Dagli anni ’60, quando le compagnie petrolifere private conosciute come “Le Sette Sorelle” (Exxon-Mobil, Chevron, BP, Royal Dutch Shell, ConocoPhilips e Total)[5] controllavano più dell’85% delle riserve petrolifere internazionali, le tendenze si sono invertite e oggi le principali compagnie petrolifere, le “nuove Sette Sorelle”[6], sono di carattere nazionale e possiedono la maggioranza delle riserve. Così, il numero in continua crescita di società nazionali simili, controllate dai governi dei loro Stati, tende a superare la logica dei mercati a vantaggio di aspirazioni ideologiche.[7] Inoltre, la riluttanza di alcuni Stati produttori di petrolio ad accettare investimenti esteri diretti rende più complicato l’obiettivo della sicurezza energetica dei Paesi importatori di energia.
Il quadro geopolitico basato su queste informazioni rispetto alla sicurezza dell’energia può essere adeguatamente analizzato dal modello denominato “Impero e regioni” sviluppato da Aad Correljé e Coby van der Linde.[8] Questo modello prevede il futuro delle questioni di sicurezza energetica attraverso la divisione del mondo tra Paesi e regioni, basata su ideologie, religioni e temi politici.
Il principale propulsore di questa visione è l’assenza di mercati internazionali efficaci combinati con società energetiche ad alto grado di integrazione operanti su base nazionale. La dimensione osservata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione della guerra in Iraq è un esempio eloquente di diversi Stati o gruppi di Stati con differenti interessi verso un conflitto in cui erano presenti diverse considerazioni in ambito energetico. Può essere considerato un caso di studio, che giustifica un certo tipo di approccio, come il comportamento del Presidente russo da quando è stato eletto. Putin ha dimostrato una capacità e volontà crescente di usare l’energia come strumento politico per il raggiungimento di obiettivi geopolitici e il rafforzamento della posizione internazionale della Russia.[9] Questo fatto sembrava essere parte di tendenze più ampie verso la rinazionalizzazione e la politicizzazione delle questioni energetiche.[10]
Dal punto di vista geopolitico, dalla scoperta delle nuove riserve energetiche, l’area del sud-est del Mediterraneo si è trovata ad affrontare una nuova realtà geopolitica. È un dato di fatto che le neo-riserve di idrocarburi di Grecia, Cipro e Israele superino ampiamente il loro fabbisogno interno. Di conseguenza, una notevole quantità sarà esportata per coprire le esigenze degli Stati europei, principalmente ad alta intensità industriale. Il trasporto della miscela energetica dalle ZEE di Grecia, Cipro e Israele, attraverso il previsto gasdotto del Mediterraneo Orientale, dà all’U.E. l’opportunità di espandere il proprio portafoglio di fornitori di energia, aumentando in modo significativo la sua sicurezza energetica.
La maggior parte delle neo-riserve greche si concentra a est dell’isola di Creta: la stima è di 6 trilioni di m3 di gas naturale e 1,7 miliardi di barili di petrolio. La sostenibilità delle riserve di gas naturale è stimata in 100 anni, un dato che sottolinea l’importanza della loro corretta gestione da parte del governo greco e dei beneficiari legali in futuro. Il Mar Ionio, l’Egeo e il Mediterraneo Orientale dispongono di risorse energetiche che possono coprire ulteriori esigenze come prodotto esportabile. Inoltre, il percorso geografico del Turk-Stream è idoneo a ricevere direttamente la produzione energetica di questi giacimenti attraverso il territorio greco, mentre un ruolo importante sarà svolto dal Corridoio Verticale che potrà collegare, dal punto di vista energetico, gli Stati balcanici e dell’Europa orientale, a partire dall’Egeo, con direzione da sud a nord, aggirando l’Ucraina e senza coinvolgere nessuna delle infrastrutture di Mosca.
Le riserve energetiche di Israele sono stimate a circa 2,5 trilioni/m3 e si stima che possano coprire adeguatamente il suo fabbisogno energetico interno per i prossimi tre decenni, insieme a un certo volume di esportazioni. Inoltre, il fabbisogno interno di Nicosia dipende dal petrolio, il che significa che la maggior parte dei suoi 3 trilioni di neo-riserve di gas naturale, circa 2,5 trilioni, possono essere esportati; un altro dato che fa auspicare l’immediata costruzione dell’East-Med. Infine, la scoperta del giacimento di gas di Zohr (nell’offshore dell’Egitto a circa 190 chilometri a nord di Port Said) non sminuisce l’importanza delle nuove riserve esistenti nell’area. Al contrario, questa scoperta aumenta le possibilità di altre scoperte simili in prossimità della ZEE cipriota e del blocco 11 (confinante a sud proprio con il giacimento di Zohr), da parte di Cipro. C’è poi da dire che l’attuale pianificazione dell’esportazione di gas naturale israeliano e cipriota in Egitto può essere facilmente rivista, portando inevitabilmente l’U.E. a fare la parte del leone attraverso l’oleodotto East-Med.
In questo quadro si evidenziano quindi elevate quantità di miscela energetica disponibili per l’esportazione da parte di Israele e Cipro, che potenzialmente rafforzano la sostenibilità finanziaria dell’Est-Med, nonché il suo valore geopolitico, spingono Gerusalemme e Nicosia verso una sua costruzione più rapida. Ne deriva che, nonostante il tentativo di Ankara di riavvicinarsi a Gerusalemme, la posizione ufficiale israeliana tenda fortemente verso un allineamento strategico israelo-greco-cipriota, poiché la sicurezza energetica nazionale di Israele costituisce una delle maggiori priorità a lungo termine per Gerusalemme.
Sebbene gli sviluppi nel settore energetico, e in particolare la pianificazione e la costruzione di gasdotti, siano strettamente correlati ai più ampi interessi geostrategici e alle politiche nazionali, Grecia, Cipro e Israele sono Paesi con una posizione geopolitica molto vicina riguardo l’energia. Membri dell’U.E., (Grecia e Cipro) e della NATO, (Grecia), o orientati in modo invariabile verso la Comunità occidentale, tramite il Dialogo Mediterraneo (Israele), si appoggiano ai produttori di energia del Medio Oriente, del Nord Africa, dei canali energetici del Mar Nero e del Caspio per il gas naturale.
In particolare, la strategia europea di diversificazione dell’approvvigionamento di miscele energetiche è attualmente un fattore favorevole per la realizzazione dell’East-Med, il gasdotto di Israele-Cipro e Grecia, che trasporterà il gas naturale dalle nuove riserve del bacino Levantino nel Mediterraneo verso l’Europa. In questo senso, Grecia, Israele e Cipro, estremamente importanti per la loro posizione geopolitica, oltre che per la loro dimensione culturale (sia storicamente che nel mondo contemporaneo), si avvicinano ancora di più, coprendo lacune di natura geopolitica, fattori economici di carattere operativo e politico, e dirigendosi deterministicamente verso un’alleanza cooperativa più stretta, profonda e di lungo termine, con il fattore geopolitico dell’energia come schema funzionale.
- L’influenza della Russia nel Mediterraneo Orientale
In questo scenario in cui si sovrappongono numerosi e differenti interessi, risulta rilevante analizzare la strategia di Mosca nel Mediterraneo Orientale nel settore dell’energia e della difesa. Da diversi anni, imperversa nel Mediterraneo Orientale un antagonismo U.E./N.A.T.O. – Russia, principalmente per l’energia e la sicurezza: si tratta di una regione caratterizzata da una notevole riconfigurazione in corso per quanto riguarda equilibri di potere. In particolare, la Russia ha cercato di sfruttare il malcontento sociale proveniente dalle politiche dell’U.E., come nel caso della politica di salvataggio nei confronti di Grecia e Cipro.
Sulla scia della guerra civile siriana, però, sembra essersi affermata una nuova fase nella politica del Cremlino nella regione. In effetti, la guerra in Siria ha costretto Mosca, per la prima volta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ad essere attivamente coinvolta negli affari interni di un Paese usando i suoi arsenali militari, anche consapevole che una tale mossa avrebbe provocato una reazione occidentale. La politica del Cremlino ha determinato alcune ricadute indesiderate per i russi, come il deterioramento delle relazioni con la Turchia e l’esacerbazione dell’attuale antagonismo Russia – U.E./N.AT.O.. La Russia sembra avere molteplici incentivi a farsi coinvolgere in questi contrasti. Forse, il più importante è deviare strategicamente l’Occidente dagli interessi primari della Russia in Europa, come la predominanza russa nell’Europa centro-orientale.
Inoltre, la campagna siriana è stata un tentativo di Mosca di mantenere il prestigio interno conquistato con l’annessione della Crimea, e di rompere l’assedio esterno che è stato posto dall’Occidente immediatamente dopo, cercando di inserirsi nel nuovo ordine globale come grande potenza. In secondo luogo, tuttavia, le attività di Mosca nella regione hanno anche affrontato gli obiettivi della Cina di raggiungere la massima sicurezza possibile dell’approvvigionamento energetico. Bisogna quindi analizzare la strategia e la politica della Russia nei confronti del Mediterraneo Orientale da due aspetti diversi ma intrecciati, ovvero difesa ed energia. Per Mosca la regione funge da campo aggiuntivo per la concorrenza con i Paesi occidentali europei e gli Stati Uniti.
Interpretare la politica estera di Mosca nel Mediterraneo Orientale è un compito molto difficile per molti motivi. Al crocevia di tre continenti, Europa, Asia e Africa, la geopolitica del Mediterraneo Orientale non coinvolge solo attori regionali ma anche altri attori antagonisti: oltre alla Federazione Russa, gli Stati Uniti, e l’Unione Europea. Il Mediterraneo Orientale è stato anche un punto d’incontro dell’Est e dell’Ovest, del Nord e del Sud economici e di tre grandi mondi religiosi: Cristianesimo, Islam e Giudaismo.
La regione è inoltre all’apice di due importanti triangoli geostrategici formati a nord e nord-est con il Mar Nero e il Mar Caspio, e a sud e sud-est con il Medio Oriente e il Golfo Persico. Una delle zone più sensibili è il Bosforo, una rotta energetica significativa e anche un potenziale hub energetico, così come una via di immigrazione illegale, droga e traffico di esseri umani. Questo esplosivo complesso geopolitico sfocia manifestandosi nei numerosi conflitti che storicamente si sono verificati nella regione, provocando fluidi e mutevoli modelli di alleanze.
Alcuni di questi sono stati il deterioramento delle relazioni tra due dei più importanti alleati regionali degli Stati Uniti, ovvero Turchia e Israele, dal 2008 in poi; le ricadute della Primavera Araba sulla sicurezza e sulla politica; la guerra civile in Siria; e la rivalità geopolitica tra Turchia, Israele, Cipro e Grecia, oltre ai crescenti revisionismi di Russia e Iran. La cooperazione energetica U.E.-Cipro-Grecia-Israele è stata rafforzata dall’interesse dell’Europa per la diversificazione degli approvvigionamenti. Soprattutto la crisi in Russia-Ucraina e la decisione di Mosca nel dicembre 2014 di interrompere la costruzione del gasdotto South Stream, a causa della posizione a suo dire poco costruttiva assunta dalla Commissione Europea, ha giocato una parte importante a riguardo.
La guerra in Siria, tuttavia, ha aggiunto una variabile imponderabile all’architettura di potere del Medio Oriente, costringendo il Cremlino a cambiare rapidamente la sua precedente strategia e ad intraprendere, per la seconda volta dalla Seconda Guerra Mondiale, un’azione militare nella regione. Viste le sanzioni imposte alla Russia a causa del suo intervento in Ucraina, sembra che il Cremlino abbia considerato il suo coinvolgimento in Siria come un’opportunità per proiettare il potere al di fuori della sua regione, in quella che è stata definita “una nuova guerra fredda”.
Due elementi compongono la sua nuova strategia globale, energia e coinvolgimento militare: il fattore dell’energia viene utilizzato per garantire la posizione egemonica della Russia come fornitore di energia tradizionale dell’Occidente. Tuttavia, va ricordato che, a differenza del petrolio, l’approvvigionamento di gas naturale è particolarmente vulnerabile alle influenze politiche, a causa della natura diretta e a lungo termine dei rapporti di fornitura. È probabile che i progetti e le decisioni sul gas naturale siano influenzati da considerazioni politiche, perché possono essere piuttosto rischiosi. Gli investitori, in generale, devono aspettare molto tempo prima di ricevere un ritorno sui loro investimenti, e così gli investimenti comportano alti costi non sempre recuperabili in tempi brevi. Di conseguenza, la stabilità e l’orientamento del regime sono di primaria importanza nel decidere dove sviluppare progetti di gas naturale.[11]
Il coinvolgimento negli affari interstatali del Mediterraneo Orientale da parte dell’esercito russo non mira solo a minare il ruolo della N.A.T.O. nell’architettura di sicurezza nella regione, ma anche a dimostrare le capacità e il potenziale militare della Russia come fornitore di servizi di sicurezza alternativo in una regione tradizionalmente instabile.
Dopo la crisi russo-ucraina, l’importanza crescente della questione della sicurezza energetica e la necessità di diversificare le rotte e le fonti di approvvigionamento di gas verso l’Unione europea è salita al vertice dell’elenco delle priorità dell’U.E. nelle sue relazioni esterne. Nel 2010, circa l’80% delle importazioni di gas dell’U.E. proveniva ancora da tre soli fornitori: la Federazione russa, l’Algeria e la Norvegia. Questa forte dipendenza da così pochi fornitori ha esortato la Commissione Europea a fare del concetto di diversificazione una pietra angolare della sua politica energetica nel più ampio contesto di una politica di energia comune, consentendo all’U.E. di parlare con un’unica voce sulla necessità di una sufficiente diversità di esportatori.[12]
Nonostante ciò, la Russia è ancora il principale fornitore di petrolio, gas e carbone all’Unione europea, nonché uno dei suoi principali fornitori di uranio. Nel 2013, la Russia forniva il 39% del gas, il 33% del petrolio greggio e il 29% dei combustibili solidi importati dall’U.E..[13] Pertanto c’è stato, in particolare, un autentico interesse da parte delle società dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti per i rifornimenti di gas dalla regione del Caspio (da Azerbaigian, Iran, Iraq e Turkmenistan), rendendo quindi evidente che U.E. e U.S.A. sostenessero politicamente il cosiddetto Corridoio meridionale del gas e il gasdotto Trans-Adriatico (TAP), ovvero le rotte di approvvigionamento che partono dall’Azerbaigian e arrivano in Europa attraverso la Turchia.[14]
Anche la scoperta di risorse di gas naturale nel Mediterraneo Orientale degli ultimi anni ha attirato l’interesse di U.E. e U.S.A., data l’enorme domanda europea di energia relativamente più pulita del gas naturale, nonché i tentativi di creare un mercato interno competitivo, interconnesso e ben funzionante, sviluppando una strategia collettiva. Quest’ultima consentirebbe ai Paesi dell’U.E. di diversificare e di garantire la fornitura di gas dall’estero.[15] Inoltre, ciò coinciderebbe con l’obiettivo a lungo perseguito di Washington di porre fine alla tattica di Mosca di utilizzare le sue esportazioni di gas naturale per esercitare un’influenza economica e politica in Europa.[16]
Il Cremlino ritiene che l’industria energetica nazionale debba essere organizzata in due regimi diversi. A differenza delle compagnie petrolifere, che dovrebbero essere private, le compagnie del gas dovrebbero essere aziende statali per due motivi: per controllare i prezzi del gas da cui dipende gran parte dell’economia (Gazprom controlla circa il 90% del mercato russo) e, in secondo luogo, per l’intreccio con la politica estera della Russia.
Nel quadro dello spostamento di potere geopolitico e geoeconomico che incombe nella regione, la Turchia inizialmente si è rivolta a Mosca, cercando di promuovere la sua cooperazione energetica con la Russia, anche nel campo del nucleare, al fine di controbilanciare i piani U.S.A.-U.E. nel Mediterraneo Orientale, alimentando una nuova forma di rivalità U.S.A.-Russia nella regione.
C’è da dire che, nonostante numerosi accordi nei settori dell’economia, della tecnologia, di scienza, cultura, salute e turismo, la Russia non ha mai smesso di considerare la Turchia come una minaccia e un concorrente dei suoi interessi nel Caucaso, dove le ambizioni si sono scontrate attivamente e ripetutamente. I legami tradizionali dell’establishment kemalista turco con gli Stati Uniti, e le aspirazioni della Turchia di utilizzare il suo ruolo geostrategico per colmare il vuoto geopolitico avvenuto nella regione dopo il crollo dell’URSS hanno posto ostacoli al miglioramento delle relazioni bilaterali turco-russe. Il conflitto territoriale tra l’Azerbaigian e l’Armenia, ad esempio, ha fornito un ulteriore motivo di contesa. L’occupazione e rivendicazione armena del Nagorno-Karabakh e di sette distretti azeri circostanti nel 1993 aveva l’appoggio russo, mentre la Turchia era il più ardente sostenitore delle posizioni azere.[17]
Tuttavia, la guerra in Iraq nel 2003 e l’istituzione di uno Stato curdo de facto in Iraq come risultato dell’invasione degli Stati Uniti ha influenzato in modo sostanziale le relazioni U.S.A.-Turchia, portando come effetto collaterale a un miglioramento del rapporto russo-turco. Tale progresso bilaterale è stato favorito anche dal graduale emergere della Russia come mercato redditizio per gli imprenditori turchi.[18]
La conclusione di vari accordi energetici ha rafforzato la spinta della Turchia a diventare un hub regionale per i transiti di gas e petrolio, nonché per aiutare Mosca a diversificare le rotte di approvvigionamento e a mantenere potenzialmente il monopolio sulle spedizioni di gas naturale dall’Asia all’Europa. La Turchia, che è stata fortemente dipendente dalle forniture di energia russa (soprattutto di gas), aveva permesso alla russa Gazprom di utilizzare il suo settore del Mar Nero per il gasdotto South Stream, che progettava di pompare gas dell’Asia centrale in Europa bypassando l’Ucraina. Inoltre, la Russia e si è unita al consorzio con l’obiettivo di costruire l’oleodotto Samsun-Ceyan dal Mar Nero al Mediterraneo.
Questo ha coinciso con gli obiettivi di Gazprom di controllare l’intera catena del valore sul mercato europeo, cercando un controllo sulla costruzione e il funzionamento di progetti di prestigio come i gasdotti Nord Stream e South Stream (abbandonato nel 2014 a seguito dell’invasione militare russa in Ucraina e delle conseguenti sanzioni imposte dalla comunità internazionale), proprio come Transneft, l’altro gigante energetico russo che ha cercato di esercitare un’influenza sui progetti petroliferi, come il gasdotto Burgas-Alexandroupolis nel Mar Nero (un progetto con rotta alternativa per il petrolio russo e del Caspio, aggirando il Bosforo e i Dardanelli, poi sospeso nel 2011 dal governo bulgaro a causa di problemi ambientali e di approvvigionamento).[19]
La riconfigurazione dell’equilibrio di potere nel Mediterraneo Orientale negli ultimi anni ha offerto alla Russia l’opportunità di procedere a ristabilire la sua cooperazione energetica e di difesa con quasi tutti i Paesi nella regione. I motivi alla base di queste azioni sono evidenti: Mosca ha cercato di intraprendere un’azione preventiva contro tutto ciò che potesse minare la sua posizione egemonica di fornitore di energia per i mercati europei e ai Paesi del Mediterraneo Orientale.
Fin dal 2013-2014, la Russia si è mossa verso alternative impegnative: nel maggio 2013, alle società russe è stato permesso di costruire e possedere una centrale nucleare da 20 miliardi di dollari nel sud della costa mediterranea della Turchia. Nell’ottobre 2013, la Russia e il Libano hanno firmato un memorandum d’intesa sulla cooperazione energetica per lo sviluppo di giacimenti di gas naturale al largo della costa libanese. Diverse compagnie russe hanno presentato offerte anche per gare di esplorazione libanesi, mentre la compagnia statale russa Soyuzneftegaz ha concluso un accordo con il Ministero dell’energia siriano nel dicembre 2013 al fine di esplorare nel suo blocco offshore 2.[20]
Nello stesso contesto, Cipro è stata una componente chiave della politica del Cremlino nella regione e una mela della discordia all’interno delle potenze occidentali nel corso dei decenni, non solo per la sua importanza strategica. Mosca aveva dichiarato il proprio impegno a salvaguardare la sovranità e la neutralità dello Stato di Cipro al fine di evitare la militarizzazione dell’isola a favore della N.A.T.O.; poiché la Repubblica di Cipro non è un membro della N.A.T.O. e quindi non è vincolata da alcuna restrizione di alleanza, si è sviluppata dalla metà degli anni ’90 in poi una cooperazione nel campo della difesa con la Russia.[21]
Dall’inizio degli anni ’90 in poi, l’isola è diventata rapidamente una delle destinazioni preferite dei capitali russi: si ritiene che il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale fossero le principali forze trainanti dietro i movimenti di capitali.[22] I russi erano tra i più attivi investitori non residenti di portafoglio alla Borsa di Cipro, con la maggior parte del denaro investito derivante dalla fuga di capitali dalla Russia. Sebbene l’adesione di Cipro all’Unione Europea nel 2004 abbia indotto un grande volume di modifiche legislative per allineamento di Cipro, non ha fermato questa tendenza. Tuttavia, la posizione di Cipro potrebbe anche indicare che molte società straniere con cui commercia la Russia utilizzino le filiali cipriote per trarre vantaggio dalla tassazione favorevole.[23]
Fattori come il rilancio del progetto di un gasdotto naturale, il contratto della Russia per la costruzione della prima centrale nucleare turca e la guerra civile in Siria sembravano essere tra gli incentivi che hanno comportato il rapido miglioramento delle relazioni Turchia-Russia nell’estate 2016. Non è un caso che il primo viaggio all’estero di Erdogan dopo il fallito colpo di Stato in Turchia sia stato in Russia, così come le relazioni della Turchia con i tradizionali alleati Stati Uniti ed Europa hanno mostrato ancora una volta una tensione crescente. Tuttavia, il riavvicinamento è ben lungi dall’essere un rapporto strategico, come hanno tentato di raffigurarlo Erdogan e Putin, né può dirsi un’alleanza basata su percezioni autoritarie comuni. Si tratta piuttosto di una fragile cooperazione di convenienza guidata dal reciproco interesse, che offre a entrambe le parti la leva per negoziare con gli Stati Uniti e l’U.E. su questioni aperte: Ucraina, rifugiati, relazioni U.E.-Turchia e il post-guerra in Siria.
D’altra parte, Ankara mirava al primo trasferimento di gas israeliano entro il 2020, ma l’aggressiva politica estera russa nei confronti della Turchia ha rimescolato le carte.[24]
- Investimenti russi in MENA
La “Strategia energetica della Russia fino al 2030”, pubblicata nel 2010, evidenzia la promozione del rafforzamento delle posizioni economiche estere del Paese come una delle priorità chiave del governo russo.[25] Il Cremlino, da allora, ha perseguito più attivamente la diplomazia energetica, in particolare con le principali nazioni produttrici di energia, nel tentativo di raggiungere tale obiettivo.
La diplomazia energetica si riferisce tipicamente alle attività diplomatiche e di politica estera condotte da un Paese consumatore per garantire l’accesso alle risorse energetiche da un Paese produttore, al fine di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento. La relazione energetica U.E.-Russia, ad esempio, rientra in questo paradigma tradizionale della diplomazia energetica condotta tra un grande consumatore e un fornitore di energia, con la Russia spesso accusata di sfruttare le proprie risorse di gas per raggiungere obiettivi politici nel continente europeo. La diplomazia energetica può anche fare riferimento agli sforzi compiuti da un Paese produttore per garantire l’accesso ai mercati, al fine di raggiungere la sicurezza della domanda.
In questo senso, dal punto di vista dei produttori, la diplomazia energetica assume un significato diverso: in fondo i produttori vendono lo stesso prodotto e competono per quote di mercato; ciò che perde un attore economico viene solitamente catturato da un concorrente. Il crescente riavvicinamento tra Russia e Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) abbraccia le due forme di diplomazia energetica. Si manifesta in una maggiore interazione e un coordinamento tra i Paesi produttori di petrolio e gas che perseguono interessi comuni, da un lato, mentre l’energia nucleare, dall’altro, rientra nella categoria convenzionale della diplomazia produttore-consumatore. In entrambi i casi, una più stretta cooperazione nella sfera energetica facilita e sostiene le più ampie aspirazioni commerciali e politiche della Russia.
Insieme, Russia e MENA possiedono rispettivamente il 60% e il 63% delle riserve mondiali di petrolio e gas, producendo metà del petrolio mondiale e quasi il 40% del gas.[26] Qualsiasi cooperazione tra questi due giganti avrà quindi significative implicazioni per i mercati globali del petrolio e del gas. Oggi, i produttori di petrolio della Russia e del MENA si trovano ad affrontare sfide simili che rendono le ragioni della cooperazione particolarmente allettanti. A breve termine, essi devono fare i conti con un contesto di prezzi relativamente più bassi, rispetto a pochi anni fa: nel 2011-2014, ad esempio, i prezzi del petrolio si erano attestati intorno ai 100 dollari al barile.
Inoltre, l’ascesa e la crescente concorrenza del tight oil statunitense hanno creato nuove dinamiche nel mercato del petrolio, data la sua capacità di rispondere rapidamente alle variazioni di prezzo. Quando i prezzi del petrolio aumentano, ad esempio, si verifica un corrispondente aumento della produzione di tight oil, contribuendo così a mantenere un limite a qualsiasi ulteriore aumento dei prezzi. Al contrario, con il petrolio convenzionale (prodotto da Russia e MENA), i ritardi di diversi anni sono la norma prima che la produzione risponda agli aumenti o alle diminuzioni dei prezzi.
Questo fenomeno è ciò che gli economisti descrivono come un’offerta anelastica. I produttori di petrolio convenzionali affrontano quindi continuamente il rischio di perdere quote di mercato a favore di un fornitore più agile, ogni volta che i prezzi del petrolio aumentano abbastanza da aumentare la produzione di tight oil. A lungo termine, le politiche aggressive sul cambiamento climatico, se attuate con successo, possono rendere prive di valore le risorse di petrolio e gas nel sottosuolo, indipendentemente da quanto possano essere estese. Ad esempio, al vertice annuale del 2015, i leader del G7 hanno deciso di eliminare gradualmente l’uso di combustibili fossili entro la fine del secolo, mentre Paesi come Francia e Regno Unito hanno annunciato che avrebbero vietato la vendita di motori a benzina e diesel già dal 2040.
Con l’intensificarsi della lotta al riscaldamento globale e la rapida espansione dello sviluppo di fonti alternative di energia e tecnologie, le prospettive per la domanda di petrolio diventano sempre più incerte. Per le economie fortemente dipendenti dal petrolio e dal gas, tali cambiamenti minacciano la loro stabilità a lungo termine.
In Russia, petrolio e gas rappresentano circa la metà delle entrate del bilancio federale; nei Paesi MENA come l’Iraq la dipendenza può superare il 90%. Prendendo in considerazione queste sfide, il dilemma per questi produttori diventa quindi come produrre abbastanza petrolio per salvaguardare una base di reddito così importante proteggendo la quota di mercato e mantenendo i prezzi a livelli appropriati che limitino l’espansione del tight oil, prolungando il loro prezioso bene il più a lungo possibile e scoraggiando la crescita di fonti energetiche alternative. La risposta, in ultima analisi, risiede nella cooperazione, facilitata dalla diplomazia energetica.
Sebbene la Russia non sia mai stata estranea alla regione MENA, la sua impronta è quindi diventata sempre più visibile negli ultimi dieci anni, e questa tendenza sembra destinata a continuare. Nel 2014, due eventi consecutivi hanno accelerato la ricerca del riavvicinamento di Mosca con i Paesi MENA, poiché ha cercato di diversificare le sue relazioni energetiche e le esportazioni a causa del deterioramento delle relazioni con l’Occidente. In primo luogo, l’annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo 2014 ha spinto i governi occidentali, guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, a imporre sanzioni al Paese, prendendo di mira le finanze statali, i settori dell’energia e degli armamenti. Queste sanzioni hanno limitato la capacità delle banche e delle imprese russe di raccogliere capitali, nonché il loro accesso ai mercati finanziari internazionali. In secondo luogo, nell’estate del 2014, i prezzi del petrolio sono crollati, precipitando da oltre 110 dollari al barile a giugno a meno di 60 dollari a dicembre di quell’anno. La combinazione delle sanzioni e il crollo del prezzo del petrolio ha colpito duramente l’economia russa. Nel 2015, il PIL della Russia si è contratto del 2,8% e l’economia è precipitata nella recessione.[27]
Questi sviluppi hanno spinto la Russia a introdurre nuove politiche per stabilizzare la sua economia. Ad esempio, la svalutazione della sua moneta, il rublo, ha facilitato la ripresa economica del Paese. Ma a causa delle restrizioni imposte dalle sanzioni alle banche e alle società russe, non si era più in grado di raccogliere capitali sui mercati globali, e quindi era necessario un mezzo alternativo per raccogliere fondi; e per questo, un aumento del prezzo del petrolio sarebbe stato ovviamente molto utile. I Paesi del MENA hanno in parte risposto, principalmente attraverso l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), di cui 8 su 14 membri provenienti da Paesi MENA, che rappresentano l’83% della produzione di petrolio dell’organizzazione e con l’Arabia Saudita a fare da leader come il più grande produttore dell’organizzazione.[28]
Prima di dicembre 2016, la Russia ha giocato con l’idea di collaborare con l’OPEC in pubblico, per esercitare pressioni al rialzo sul prezzo del petrolio, ma il suo sostegno è rimasto limitato a dichiarazioni solidali che non sono state all’altezza dei risultati politici. A dicembre 2016, tuttavia, l’OPEC ha sorpreso il mercato annunciando non solo un taglio coordinato della produzione per la prima volta dal 2008, ma anche dichiarando che un gruppo di produttori non OPEC si sarebbe unito alla mossa, con la Russia in testa.
L’alleanza divenne nota come OPEC+, mirando a un taglio combinato della produzione di 1,8 milioni di barili al giorno (mb/d). Da allora questo accordo è stato prorogato più volte. Si ritiene inoltre che la mediazione russa, al livello più alto, abbia contribuito a far mettere da parte le rivalità tra l’Arabia Saudita e l’Iran, assicurando così il successo dell’accordo.[29]
Sebbene l’OPEC abbia una storia di membri che non rispettano la loro quota di produzione, l’alleanza OPEC+ si è dimostrata molto più forte di quanto molti si aspettassero: l’OPEC ha raggiunto il 147% di conformità (a maggio 2018) in parte grazie alla grande disciplina dei suoi membri, e in parte a causa di interruzioni non pianificate dell’approvvigionamento in alcuni Paesi membri dell’OPEC, principalmente in Venezuela.[30] La Russia in questo si è dimostrata un partner affidabile.
La cooperazione è riuscita a porre un limite alla diminuzione del prezzo del petrolio. Prima dell’accordo, i prezzi erano diretti a meno di 40 dollari al barile. 18 mesi dopo l’accordo, vengono scambiati a oltre 70 dollari: una situazione vantaggiosa per la Russia e per i suoi partner OPEC, in particolare in Medio Oriente. Nel giro di un anno, l’economia russa si è stabilizzata, passando “dalla recessione alla ripresa”, come formulato nel titolo di un rapporto pubblicato dalla Banca mondiale.[31]
Poiché la minaccia del tight oil statunitense continua a incombere, è prevista una collaborazione continua. È probabile che tale collaborazione prenda la forma di un’associazione “amichevole” di produttori che monitora da vicino il mercato, con i suoi principali architetti Arabia Saudita e Russia come due attori chiave. Alla riunione dell’OPEC del giugno 2018, l’Arabia Saudita ha invitato la Russia a diventare un membro osservatore (senza diritto di voto) dell’OPEC, formalizzando e approfondendo così il rapporto tra l’OPEC e la Russia al di là di un accordo temporaneo.[32]
Il MENA ha anche fornito una mano all’economia russa grazie al riciclaggio dei suoi petrodollari. Diversi produttori arabi hanno accumulato notevoli riserve finanziarie in fondi sovrani. Sebbene il valore reale di questi fondi non sia pubblicamente noto, secondo il Sovereign Wealth Fund Institute ci sono quasi 3 trilioni di dollari rinchiusi in vari fondi sovrani e di investimento in tutta la regione, con gestori di fondi che cercano opportunità di investimento redditizie.[33] Una di queste destinazioni è stata il Fondo russo per gli investimenti diretti (RDIF), un veicolo di investimento di proprietà statale, progettato per attirare fondi stranieri nel Paese.
Fondato nel 2011, l’RDIF ha attratto 30 miliardi di dollari di capitale straniero nell’economia locale, investendo direttamente i fondi in infrastrutture e società russe. Il fondo ha stabilito partnership con diversi organismi di investimento MENA, in particolare dal Gulf Cooperation Council (GCC). Il Mubadala di Abu Dhabi, il Mumtalakat del Bahrain, la Kuwait Investment Authority (KIA), la Qatar Holding, il Fondo per gli investimenti pubblici (PIF) dell’Arabia Saudita e DP World (Emirati Arabi Uniti – EAU) hanno tutti investimenti impegnati nel fondo. Il KIA è stato il primo fondo sovrano (SWF) con sede nel Golfo a co-investire con RDIF nel 2012.[34]
Dopo il 2014, gli investimenti MENA sono aumentati in modo significativo. Nel 2015, durante la visita dell’allora vice principe ereditario Mohammed Bin Salman a Mosca, l’Arabia Saudita ha rivelato che avrebbe investito 10 miliardi di dollari nella RDIF. Più recentemente, sono in corso trattative sull’acquisizione di una partecipazione da parte di Saudi Aramco nel progetto Arctic LNG-2 guidato da Novatek, il più grande produttore di gas naturale non statale della Russia, che inizierà a produrre gas naturale liquefatto (GNL) nei prossimi quattro-cinque anni. In un atto di solidarietà, la Russia ha annunciato che le sue banche e gli investitori sarebbero interessati a prendere parte alla prevista offerta pubblica iniziale (IPO) di Aramco, che gode del forte sostegno personale del principe ereditario Mohammed bin Salman.
Oltre ai 2 miliardi di dollari che la Qatar Investment Authority ha impegnato a favore della RDIF nel 2014, l’Autorità, insieme al commerciante di materie prime Glencore, ha acquisito una quota del 19,5% nella più grande compagnia petrolifera russa, Rosneft, due anni dopo, per un prezzo di circa 12 miliardi di dollari.
Anche Rosneft e altre società energetiche russe stanno perseguendo opportunità commerciali in tutta la regione. Hanno investito direttamente in progetti di petrolio e gas, dall’Algeria, alla Libia, Egitto, Libano, Bahrain, Iran, Iraq e Oman, costruendo ulteriormente legami più stretti con vari governi ed entità locali.
In termini di diplomazia energetica produttore-consumatore, la Russia vede la regione MENA come un’opportunità interessante per espandere il proprio mercato di esportazione nucleare, data la rapida crescita della domanda di elettricità nella regione. La Russia, infatti, è uno dei maggiori esportatori di tecnologia nucleare al mondo. La State Atomic Energy Corporation Rosatom è il suo veicolo principale, che si definisce “No.1 al mondo in termini di numero di progetti di costruzione di reattori nucleari implementati simultaneamente (6 in Russia e 35 all’estero).”[35]
La Russia ha aiutato l’Iran a costruire la sua prima centrale nucleare a Bushehr, che è diventata operativa nel 2011. Nel 2016, l’Iran ha annunciato che avrebbe costruito un secondo impianto anche con l’aiuto russo. Rosatom ha recentemente annunciato di essere in trattativa con l’Arabia Saudita sulla possibilità di costruire alcune centrali nucleari del Regno. L’Arabia Saudita ha un piano ambizioso per costruire sedici reattori nucleari entro il 2032. Se il piano si concretizzerà, sarà il più grande progetto nucleare commerciale della regione. Non c’è da stupirsi quindi che i leader mondiali nella tecnologia dell’energia nucleare – società americane, cinesi, francesi, coreane e russe – stiano tutti corteggiando l’Arabia Saudita, cercando di beneficiare di un’opportunità commerciale particolarmente redditizia.
Già nel 2014, la Giordania aveva firmato un accordo con Rosatom, dopo che la società aveva vinto la gara per costruire la prima centrale nucleare del Paese. Rosatom ha accettato di finanziare il 49,9% dell’impianto da 10 miliardi di dollari.[36] Nel 2017, anche l’Egitto ha firmato un accordo con Rosatom per costruire quattro reattori nei successivi dodici anni. La Russia ha offerto un prestito a lungo termine di 25 miliardi di dollari con un tasso di interesse annuo del 3% per finanziare la costruzione dell’impianto di El Debaa.[37] Sebbene il governo egiziano abbia selezionato Rosatom come offerente preferito su un totale di tre offerte che aveva affermato di aver ricevuto, non è chiaro chi fossero gli altri offerenti o se esistessero effettivamente. Dato il rafforzamento dei legami diplomatici e militari tra Egitto e Russia, il risultato non è stata una sorpresa.
I vantaggi economici della tecnologia nucleare per l’esportatore sono chiari: come dettagliato in uno studio, la costruzione di una centrale nucleare di quattro unità da parte di Rosatom mantiene 24.000 persone al lavoro in vari segmenti dell’industria nucleare all’interno della Russia, mentre ogni rublo del nucleare in prestito porta 1,8 rubli nell’economia tramite ordini per le imprese russe, comprese forniture di carburante, formazione del personale, servizi di disattivazione e così via. Ogni rublo fornisce anche 0,54 rubli di entrate dirette al bilancio russo.[38]
La diplomazia energetica russa nella regione MENA si sta quindi dimostrando vincente. Finora, i crescenti legami energetici tra la Russia e i Paesi MENA si sono tradotti in vantaggi reciproci, date le sfide e gli interessi comuni. Per la Russia, ciò è stato in linea con una delle priorità della sua strategia energetica fino al 2030, vale a dire rafforzare le relazioni economiche estere del Paese.
L’accordo OPEC+ ha esercitato pressioni al rialzo sui prezzi del petrolio, fornendo il supporto tanto necessario a questi attori. L’afflusso di petrodollari MENA nelle casse della Russia ha in parte alleviato l’impatto delle sanzioni occidentali contro la Russia. Si prevede che gli investimenti delle società petrolifere e del gas e nucleari russe nell’ampio mercato MENA avranno ripercussioni positive a lungo termine per l’economia russa.
La regione MENA, tuttavia, è lungi dall’essere un blocco compatto. Al contrario, le aspre rivalità tra e all’interno dei Paesi sono la norma. La Russia ha cercato di mantenere un rapporto positivo con i Paesi di tutta la regione, mediando tra attori del calibro di Arabia Saudita e Iran, venendo militarmente in aiuto del regime di Assad in Siria, combattendo le fazioni dell’opposizione sostenute dal GCC, con cui però allo stesso tempo firma lucrosi accordi commerciali.
Per quanto complicato possa essere, sembra che la Russia si stia abilmente destreggiando attraverso il labirinto politico della regione per raggiungere i suoi obiettivi strategici. Data l’attuale tendenza verso un minore impegno americano ed europeo in Medio Oriente, sembra probabile che la Russia continui a perseguire la sua strategia nella regione, evitando di rimanere impantanata in dispute politiche locali.
- La cooperazione energetica tra Israele, Cipro e Grecia
Dopo che i rapporti turco-israeliani sono diventati più tesi, Israele e Cipro e, per estensione, la Grecia, si sono avvicinati per formare un’alleanza di difesa economica che potrebbe, a determinate condizioni, rivoltarsi contro i vitali interessi turchi nella regione, secondo un classico esempio del principio che recita “il nemico del mio nemico è mio amico”. Il beneficio economico atteso dalle consistenti risorse di gas naturale e petrolio scoperte nelle zone economiche esclusive di Israele e Cipro ha contribuito alla materializzazione di una politica senza precedenti, fatta di relazioni militari ed energetiche.[39]
La cooperazione U.E.-Cipro-Grecia-Israele è andata quindi in conflitto con le aspirazioni geopolitiche della Turchia nella regione. I vertici economici e politici turchi avevano individuato una possibile rotta di esportazione verso l’Europa attraverso il Mediterraneo, identificando Israele, Cipro e Grecia come una minaccia alla loro ambizione a trasformare la Turchia nella principale rotta di transito non russa per la vendita di gas, oltre che in un hub energetico regionale.[40]
Ankara ha contestato il fatto che le aree con riserve di gas nel bacino orientale del Mediterraneo, che si estende dalla costa del Levante al sud di Creta e oltre, siano chiaramente situate in acque nazionali divise, ignorando così i diritti e la giurisdizione della Repubblica di Cipro sulle zone marittime dell’isola.[41] Inoltre, ha ripetutamente minacciato Cipro di azioni militari, anche se la società statunitense Noble Energy e l’ENI stavano ancora effettuando perforazioni esplorative al largo della costa meridionale dell’isola, creando tensioni nella regione con l’invio di navi militari turche.
Di conseguenza, l’alleanza Israele-Cipro-Grecia ha un carattere militare ben formato. Infatti, nella primavera del 2012, Israele e gli Stati Uniti avevano invitato la Grecia a unirsi a loro in esercitazioni militari congiunte attraverso le quali Israele ha cercato di sostituire la profondità strategica che aveva perso dopo la fine della cooperazione in materia di difesa con la Turchia. Nello stesso tempo, Washington ha cercato di mediare sia tra Israele e la Turchia per risolvere la crisi nelle loro relazioni bilaterali, sia tra Turchia, Cipro e Grecia nel tentativo di riprendere negoziati per risolvere il conflitto di Cipro.
La scoperta del giacimento di gas Aphrodite, nel blocco 12 delle acque cipriote, e con estensione in parte nelle acque territoriali israeliane, ha complicato lo sviluppo congiunto di Israele e Cipro, ritardando la firma di un accordo unitario. Le due parti contestano dal 2010 la quantità di gas nel territorio israeliano e il livello di coinvolgimento di Israele nello sviluppo del giacimento. Nel frattempo, Israele si è rifiutata di firmare un accordo per delineare formalmente gli sviluppi delle riserve di gas naturale e petrolio condivise, ritardando lo sviluppo del giacimento.[42]
La mediazione statunitense nella disputa Ankara-Tel Aviv sembra essere stata finalizzata a facilitare la monetizzazione filoccidentale del gas mediterraneo sulla falsariga della costruzione di un gasdotto da Israele alla Turchia. Tale opzione, tuttavia, presuppone una soluzione del conflitto di Cipro o almeno un miglioramento delle relazioni, poiché il gasdotto passerebbe attraverso la Zona Economica Esclusiva della Repubblica di Cipro riconosciuta a livello internazionale. Una tale mossa unilaterale di Tel Aviv, tuttavia, potrebbe complicare ulteriormente le cose, poiché equivarrebbe al riconoscimento della Repubblica turca di Cipro del Nord, attualmente riconosciuta solo dalla Turchia, complicando definitivamente le relazioni Israele-Cipro.
Inoltre, le tensioni regionali sono altresì cresciute tra Cipro, Grecia, e Israele per le proprietà offshore nel Mediterraneo Orientale. Nel dicembre 2018, i tre Paesi insieme all’Italia hanno firmato un accordo da 7 miliardi di dollari per fornire gas naturale all’Europa. L’accordo, noto come East-Med, aiuterebbe l’Europa a diversificare il suo portafoglio energetico, riducendo al contempo la sua dipendenza dalla Russia. Il gasdotto che collegherà queste risorse di gas del Mediterraneo Orientale passerà da Israele e Cipro alla Grecia attraverso Creta e fino all’Italia, passando vicino al controverso progetto del gasdotto TAP.[43]
D’altra parte, c’è anche da tener conto dei recenti investimenti cinesi in Grecia e in Montenegro, che sembrano far parte del piano di creazione di una rete di strade, oleodotti, ferrovie e strutture portuali, in una sorta di moderna Via della Seta per promuovere il commercio Est-Ovest: il Mediterraneo Orientale gioca qui un ruolo centrale, grazie alla sua posizione geografica. La creazione di un nesso derivante dallo sviluppo combinato di porti, cantieri navali e trasporti marittimi è facilitato dal fatto che la terra e le rotte marittime verso l’Europa si uniscono lì. Uno dei progetti infrastrutturali più grandi e strategicamente più importanti finora ideati nella regione è, ad esempio, il porto container gestito da Cosco al Pireo in Grecia (il gigante dei servizi di spedizione cinese Cosco intende realizzare investimenti totali di 600 milioni di euro nel porto del Pireo). Inoltre, la Cina ha interessi in vari altri progetti infrastrutturali regionali: la scelta della Grecia dimostra il ruolo chiave di questo Paese nella politica marittima cinese.[44]
- Estrazione ed esportazione di nuove riserve
La congiunzione geostrategica Grecia-Cipro-Israele permette attualmente ai tre Stati di affrontare nel miglior modo possibile le sfide contemporanee e future nell’arena delle relazioni internazionali e regionali. Avendo una comune percezione strategica del sottosistema geopolitico del Mediterraneo sud-orientale, Atene, Nicosia e Gerusalemme rafforzano giorno dopo giorno le loro relazioni politiche, diplomatiche, economiche e militari, mirando al mantenimento della stabilità nell’area, contro ogni fattore revisionista.
Per questa alleanza strategica, la scoperta, l’estrazione e lo sfruttamento delle nuove riserve di idrocarburi, all’interno delle zone economiche esclusive consecutive (ZEE) greca, cipriota e israeliana, sono il catalizzatore dinamico che rafforza ulteriormente la cooperazione e l’efficacia alleate. In mezzo alla trasformazione geopolitica della più ampia regione del Nord Africa, Medio e Vicino Oriente, la costruzione del gasdotto del Mediterraneo Orientale (East-Med) fa parte di una ricerca comune della massima importanza per l’alleanza strategica. Infatti, quando l’East-Med entrerà in funzione, potrà trasferire, nella prima fase, gli idrocarburi israeliani e ciprioti dalle neo-riserve offshore attraverso il territorio sovrano greco e la ZEE all’Italia e al centro Europa, segnalando il graduale disimpegno dalla dipendenza dal gas naturale russo, e consentendo quindi all’U.E. di compiere i primi passi verso l’emancipazione energetica.
Nonostante il tentativo di Ankara di riavvicinarsi a Gerusalemme, la posizione ufficiale israeliana tende fortemente verso un allineamento strategico israelo-greco-cipriota. È un dato di fatto che alla fine degli anni 2000, Atene e Gerusalemme si siano avvicinate in campo diplomatico, politico, militare ed economico. Il perseguimento, da una parte, della preziosa profondità strategica verso il Mar Mediterraneo da parte di Israele e, dall’altra, il raggiungimento di un efficace meccanismo di deterrenza regionale contro Ankara (che si traduce principalmente nell’adeguata protezione dei legittimi diritti di Nicosia nell’estrazione di miscele energetiche dalla sua Zona Economica Esclusiva) hanno automaticamente promosso la convergenza degli interessi nazionali dei suddetti Stati, mentre gli attuali sviluppi politici, con la diffusa agitazione nei sottosistemi geopolitici del Nord Africa e del Medio Oriente, contribuiscono ulteriormente al rafforzamento delle relazioni di Grecia, Cipro e Israele.
Tuttavia, il fattore geopolitico dell’energia è ciò che garantisce la dinamica collaborativa e di alleanza continua dei tre Stati a lungo termine. Le riserve energetiche scoperte di recente nelle adiacenti ZEE, e in particolare la proposta del gasdotto East-Med, promettono la trasformazione dell’area in un punto di interesse strategico energetico globale.
La recente conclusione dell’alleanza strategica tra Grecia, Cipro e Israele è un fatto indubitabile. In termini generali, questo si realizza in tutti i settori di attività di uno Stato sovrano, con il trampolino di lancio fondamentale dell’allineamento politico, diplomatico e militare dei tre Stati.
Uno dei motivi principali dietro l’avvicinamento di Atene e Nicosia da parte di Gerusalemme è stata la graduale alienazione della Turchia da Israele, che ha portato alla rottura definitiva delle loro relazioni alla fine degli anni 2000. In effetti, l’alleanza strategica tra Turchia e Israele iniziò a destabilizzarsi quando Ankara tentò di attuare la sua dottrina neo-ottomana, cercando di riproporsi con un ruolo dominante.
Incidenti successivi, come l’episodio del disaccordo tra il presidente israeliano Shimon Peres e l’allora Primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan nel Forum economico mondiale di Davos nel gennaio 2009, che ha portato all’allontanamento di quest’ultimo,[45] e il caso Mavi-Marmara, segnarono il momento della definitiva cessazione delle strette relazioni politiche, diplomatiche e militari di Ankara e Gerusalemme.
Allo stesso tempo, la Grecia e Cipro stavano affrontando la sfida di una politica turca revisionista[46] in tutto l’arco geografico dalla Tracia occidentale e l’Egeo settentrionale fino al Mediterraneo sud-orientale, nella ZEE cipriota. Con l’oggettiva convergenza degli interessi nazionali dei tre Paesi, Atene e Nicosia hanno deciso di procedere alla costruzione di un’alleanza strategica con Gerusalemme, assicurandosi in tal modo il pieno sostegno e la cooperazione dell’attore operativamente più potente nella regione del Mediterraneo sud-orientale. La congiuntura storica è stata sfruttata in misura significativa per ricercare un equilibrio geostrategico che portasse alla più ampia stabilità politica nella regione. Una regione con instabilità intrinseca nei suoi sottosistemi geopolitici periferici (Nord Africa, Medio Oriente, Vicino Oriente), in cui però la ristrutturazione ha iniziato a materializzarsi.
L’avvio degli sforzi politici di Atene e Gerusalemme per costruire un’alleanza strategica è avvenuto l’8 agosto 2013 a Nicosia, dove è stato firmato un Memorandum d’intesa trilaterale tra i Ministri dell’Energia di Grecia, Cipro e Israele, che confermava “la volontà di promuovere le loro relazioni economiche e il rafforzamento della collaborazione nel campo dell’energia.” Nel Memorandum è inclusa anche una clausola di cooperazione a tutela delle infrastrutture chiave, negli hot-spot dei giacimenti di gas nel Mediterraneo sud-orientale.
Inoltre, nell’ottobre 2013, durante i lavori del Consiglio supremo di Ministri per la cooperazione tra i governi di Grecia e Israele, sono stati firmati diversi accordi legali tra i due Paesi per la cooperazione in vari settori. E a seguito di una riunione dei tre Ministri degli esteri, è stato emesso il 12 novembre 2014 ad Atene un comunicato congiunto dalle tre parti, che ribadiva ancora una volta la loro “volontà di promuovere le relazioni economiche e il rafforzamento della collaborazione nel campo dell’energia”.[47] In effetti, anche nel campo militare-operativo, dozzine di manovre aeronautiche e militari comuni hanno avuto luogo nel Mar Egeo, sull’isola di Creta (e entro i suoi limiti ZEE), a Cipro, (e entro i suoi limiti ZEE), nella Grecia continentale e sulle coste di Israele.
Tuttavia, il fattore geopolitico energetico è il catalizzatore dinamico qualitativo in questa relazione alleata. Innegabilmente, le relazioni dei tre Paesi sono state profondamente influenzate dalla geografia, date le ZEE contigue in cui sono stati scoperti grandi volumi di miscele energetiche (Israele, Cipro) e dove si prevede che in futuro saranno scoperti degli altri, oltre che per il progetto di reciproco vantaggio strategico riguardante la potenziale costruzione del gasdotto del Mediterraneo Orientale.
La coincidenza della scoperta, estrazione e sfruttamento delle neo-riserve di idrocarburi israeliane e di Cipro, insieme allo sforzo greco di misurare scientificamente le proprie riserve, ha avvicinato gli interessi e le percezioni di Atene, Nicosia e Gerusalemme favorendo la stabilità e lo sviluppo regionale. In particolare, la mancanza di un alleato regionale stabile per Israele, e il sostanziale esborso di risorse richieste da Grecia e Cipro per garantire la loro sovranità nazionale in un’area più ampia, sono elementi che fanno convergere verso obiettivi comuni.
Principalmente tre aree sono quelle di interesse energetico, che senza dubbio possiedono grandi volumi di idrocarburi, gas naturale e petrolio: si tratta delle più ampie aree off-shore a sud dell’isola di Creta, dello Ionio e del Bacino di Erodoto. Come spesso accade, gli studi scientifici non concordano sulla dimensione del volume; tuttavia, in questo caso concordano tutti sull’esistenza di vaste neo-riserve di gas naturale a sud di Creta e nel Bacino di Erodoto, nonché di riserve petrolifere lungo lo Ionio.
Pertanto, si stima che ci siano volumi sostanziali di gas naturale 70 km a sud della baia di Mesara a Creta, e si sostiene che il blocco greco n.14 tra le aree di Plakias e Frangokastello abbia 1,5 trilioni di m3 di gas naturale.[48]
Allo stesso modo, uno studio greco stima il volume totale di gas naturale nella stessa area a circa 3,5 trilioni di m3, corrispondente alle dimensioni della Baia del Messico, del Golfo Persico e del Mar Caspio.[49] Deutsche Bank ha stimato in circa 427 miliardi di euro il valore finanziario delle neo-riserve di idrocarburi e degli utili netti della Grecia ricavabili dalla sola area specifica, mentre il profitto pubblico greco è stimato a 214 miliardi di euro.
Uno studio economico simile porta il profitto pubblico greco a 599 miliardi di euro in un periodo di 25 anni dall’inizio dello sfruttamento. Per quanto riguarda l’area marina della parte greca del bacino di Erodoto, secondo il francese Beicip-Franlab, si stima che potrebbe arrivare a 2,5 trilioni di metri cubi di gas naturale,[50] mentre l’American Geological Review fornisce una probabilità del 50% che ci siano 3 trilioni di metri cubi in più rispetto ai 2,5 trilioni già considerati, (cioè un totale di 5,5 tr. m3). In relazione alle neo-riserve petrolifere greche, il ministero responsabile ha valutato che l’area del Mar Ionio, insieme a quella a sud dell’isola di Creta, possa produrre 20-25 milioni di b/a in un periodo di 25-30 anni dall’inizio dello sfruttamento.
Infine, come Paese ospitante della rete di trasferimento, va notato che la Grecia ha un forte vantaggio geografico, essendo un Paese di transito centrale per la rete regionale di gasdotti pianificata per l’energia. La Grecia fa parte di TAP, Turk-Stream (l’ex South-Stream), così come del Corridoio Verticale, estremamente interessante, che collega verticalmente gli Stati balcanici e dell’Europa orientale, dall’Egeo al Baltico, aggirando l’Ucraina. Infine, la Grecia ha firmato un memorandum d’intesa con Russia, Serbia, Ungheria e Macedonia per l’espansione di Turk-Stream verso l’Austria.
Recenti studi hanno poi dimostrato che l’area marina del Bacino Levantino fino all’area adiacente al Bacino di Erodoto contiene neo-riserve di gas naturale. Secondo le stime più moderate, il Beicip-Franlab e l’Institut Français du Petrole stimano il volume totale delle neo-riserve dell’area off-shore all’interno della ZEE cipriota a 3 trilioni di m3 di gas naturale. La ZEE di Cipro è stata divisa in 13 “blocchi”. Possibili aree di neo-riserve all’interno della ZEE sono i blocchi 12 e 9 che sono i primi esplorati e sono stati concessi a consorzi internazionali per il funzionamento Nobel Energy e Delek: sono gli operatori del Blocco 12 e del giacimento di gas naturale Aphrodite che si trova al suo interno, 34 km a ovest del giacimento di gas israeliano Leviathan, anch’esso gestito dallo stesso consorzio. Il Blocco 9, ed i sottostanti giacimenti di gas Onasagoras e Amathus, sono gestiti dal Consorzio italo-coreano Eni-Kogas. Con i loro recenti annunci del 19 novembre 2014, le società israeliane Delek e Avner, affermano nel brief ai loro azionisti della borsa israeliana che le quantità di gas naturale nel giacimento di gas Aphrodite superano i 4,5 trilioni di m3, il 12% in più rispetto alle stime.[51] Inoltre, in particolare il solo giacimento di gas naturale Aphrodite, nel blocco n. 12, secondo l’ex direttore del servizio energetico del ministero del Commercio cipriota, Solon Casinis, contiene dagli 8 ai 12 trilioni di m3 di gas naturale, il cui valore è stimato a 350 miliardi di euro e l’utile netto per lo Stato cipriota a 86 miliardi di euro. Finora Noble Energy e Delek, che gestiscono il giacimento delle riserve di gas, hanno affermato di poter arrivare a una produzione di circa 10 b/m3/a per i prossimi 2-3 decenni.
In quest’ottica, la società Delek, dimostrando il proprio interesse per il giacimento di gas Aphrodite, ha avviato trattative per l’acquisto di quote da Noble Energy, con il suo CEO Yossi Abu che ha dichiarato dopo un incontro con il presidente cipriota, Nikos Anastasiades: “Noi siamo pienamente impegnati nello sviluppo del giacimento di gas Aphrodite, in linea con la strategia di fornire gas naturale ai mercati cipriota ed egiziano in modo rapido ed efficiente. Abbiamo già avviato il processo di commercializzazione del gas in quei mercati e abbiamo lunghe discussioni con potenziali acquirenti di questo gas”.[52]
Va notato che, data la dipendenza esclusiva dal petrolio dell’economia cipriota per coprire i suoi bisogni interni, la stragrande maggioranza della produzione di gas naturale (l’80-85%, cioè da 2,4 a 2,5 trilioni di m3) sarà esportata. Dal 2014, infatti, si sono tenuti colloqui avanzati per l’esportazione della produzione di gas naturale dal giacimento Aphrodite in Egitto.
In una dichiarazione congiunta, il 25 novembre 2014, resa dal ministro egiziano del petrolio e delle risorse minerarie, Ismail Sherif e dal ministro cipriota dell’energia George Lakkotrypis, il primo aveva affermato che “l’Egitto può ricevere la quantità di gas che Cipro può esportare”, mentre la sua controparte cipriota ha affermato che “la migliore opzione per l’esportazione al momento sembra essere tramite un gasdotto tra Cipro e l’Egitto, e le trattative si concentrano sulle infrastrutture esistenti del terminale di liquefazione egiziano, cioè a Idku e Damietta”.[53]
Fino alla recente scoperta delle neo-riserve Leviathan, Tamar e Dalit, i depositi israeliani arrivavano a un massimo di 1,7 trilioni di m3, dai tradizionali giacimenti di gas naturale off-shore di Mari e Noa. Secondo le stime più moderate, il Beicip-Franlab e l’Institut Français du Petrole, le neo-riserve di gas naturale nella Zona Economica Esclusiva di Israele sono di proporzioni notevoli. Nello specifico, Tamar: 90 km da Haifa e profondità di 1.680 m; riserve stimate: 142 bn/m3. Dalit: 13 km a est di Tamar; riserve stimate: 14 bn/m3. Leviathan: 130 km a ovest di Haifa e profondità di 635 m; riserve stimate: 535 mld/m3. Nel 2009 Israele ha iniziato l’estrazione dal giacimento di gas Tamar, mentre il giacimento ancora più grande Leviathan ha iniziato la produzione nel 2016. Si stima che questi volumi di gas naturale possano coprire il fabbisogno energetico di Israele per i prossimi 2-3 decenni, mentre grandi quantità dovranno essere esportate.
Un recente sviluppo arriva a ristrutturare i piani per le esportazioni del gas naturale cipriota e israeliano, oltre ad accelerare la promozione dell’East-Med. Secondo l’ENI, una neo-riserva “ultra-gigantesca” di gas naturale egiziano nel giacimento di gas di Zohr, nel blocco 11, nota anche come Shorouk che copre un’area di 100 km2, ad una profondità di 1.450 km, è stata scoperta il 30 agosto 2015. Si tratterebbe della più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo e potrebbe rivelarsi una delle più grandi scoperte di gas naturale al mondo.[54]
In effetti, questa riserva è già la più grande del Mediterraneo, e secondo l’ENI il suo pieno utilizzo sarà in grado di coprire la domanda egiziana di gas naturale per decenni. Più specificamente, si stima che il giacimento di Zohr copra un’area di 100 km2 e possa produrre circa 850 miliardi di m3 di gas naturale. Una dichiarazione estremamente importante è quella di Hamdy Abdel Aziz, Direttore della Comunicazione del Ministero del Petrolio egiziano, all’agenzia Bloomberg: “l’intera produzione sarà utilizzata per il consumo interno”.[55] Si stima che i quantitativi nel giacimento di Zohr, nel blocco di Shorouk, copriranno adeguatamente il fabbisogno dell’Egitto per più di dieci anni.
Di estrema importanza è anche il fatto che il giacimento di gas di Zohr confina con il blocco 11 della ZEE cipriota, a soli 6 km di distanza. Vale la pena notare che, secondo l’agenzia di stampa cipriota, l’ex direttore del servizio energetico del ministero dell’Energia, del commercio, dell’industria e del turismo, Solon Kassinis ha sostenuto che: “grandi quantità di gas verranno scoperte nell’area circostante e io sono certo che la nostra ZEE contenga quantità ancora maggiori.”[56] Di conseguenza, la società francese Total, titolare dei diritti di sfruttamento per il blocco 11 cipriota, si è adoperata per verificare che questa gigantesca neo-riserva si estenda alla ZEE cipriota.
Diventa chiaro che una volta che il governo egiziano dirigerà l’intera quantità di gas naturale dalla citata neo-riserva al consumo interno, le opzioni di esportazione verso i mercati vicini, come l’Egitto, saranno drasticamente diminuite per Gerusalemme e Nicosia. D’altra parte, 2,5 trilioni di m3 di gas naturale cipriota, oltre a buona parte di quello israeliano, circa 600-800 miliardi di m3, attendono la loro distribuzione sui mercati internazionali. Di conseguenza, è inevitabile orientarsi verso mercati più lontani; sotto l’aspetto geopolitico ed economico, un quadro favorevole alle prospettive del Mediterraneo Orientale.
In conclusione, sembra che si sia trovata la quadratura del cerchio per lo sviluppo di una più ampia, profonda e sostanziale cooperazione energetica tra Israele, Cipro e Grecia, nel quadro dell’attuale alleanza geostrategica dei tre Stati. Atene accelera il round di licenze internazionali per l’esplorazione di idrocarburi, Nicosia consolida il settore della produzione di gas naturale e Israele ha iniziato l’estrazione dal giacimento di neo-riserve Leviathan, il terzo più grande al mondo, da quando è stato scoperto il giacimento egiziano Zohr.
Tutto ciò può creare solo valore aggiunto per gli Stati alleati, con la costruzione del gasdotto del Mediterraneo Orientale che costituirà la spina dorsale dell’alleanza a lungo termine tra Israele, Grecia e Cipro. In effetti, questo gasdotto, per il quale la società greca pubblica di gas naturale (DEPA) è stata la prima a proporre l’opzione East-Med, nel 2012, è della massima importanza strategica.
Il gasdotto in questione, avente una lunghezza di 1.530 km e una capacità fino a 8 miliardi di m3, senza contare il contributo dei neo-depositi greci, soddisfa l’obiettivo dell’Unione Europea di avere molteplici fornitori al fine di raggiungere il più alto grado di sicurezza energetica. Passando interamente attraverso lo spazio terrestre e sovrano europeo, collega Israele, Cipro, Grecia ed è infine collegato all’interconnector greco-italiano, (IGI), gasdotto che attraversa il mare Adriatico. A seguito della costruzione del gasdotto off-shore, è prevista la costruzione di una stazione terminale a Cipro, che sarà utilizzata per la liquefazione del gas naturale prima del suo trasferimento ai mercati europei.
Una dichiarazione del brigadiere Giora Eiland delinea l’intenzione di Israele: “viene esaminato l’uso degli impianti di GNL esistenti in Egitto. L’altra opzione, la costruzione del gasdotto per la Grecia, è la via politica preferita e il modo più sicuro per interconnettersi con l’Europa.”[57] Si è rivelato di estrema importanza, durante una riunione a Roma nel 2014, che il ministro israeliano dell’Energia, Shirvan Shalom, avesse proposto la soluzione del Mediterraneo Orientale ai suoi omologhi dei Paesi mediterranei europei, etichettandola come una monumentale costruzione tecnica di immenso significato politico.[58]
Infatti, con la gestione appropriata nel settore energetico, Grecia Cipro e Israele saranno in grado di stringere un’alleanza a lungo termine che potrebbe sostituire nel tempo la maggioranza dei fornitori di miscele energetiche dell’U.E., praticamente monopolistici. Per ognuno di essi questo ha anche una particolare importanza politica. Gerusalemme probabilmente tenterà di capitalizzare immediatamente il potere derivante dall’esportazione di miscele energetiche nell’U.E., tra l’altro, nel riorientamento di alcune istituzioni e poteri europei, a favore delle posizioni israeliane, rispetto al conflitto arabo-israeliano. Grecia e Cipro cercheranno sicuramente di sfruttare i vantaggi del loro settore energetico per uscire più velocemente e più facilmente dalla depressione economica che stanno vivendo.
La proposta East-Med è stata presentata ufficialmente al Vicepresidente della Commissione europea e Commissario europeo per l’Unione dell’energia, Maros Sefcovic dai Ministri dell’Energia greco e cipriota il 9 dicembre 2014. Il gasdotto è stato incluso nel Progetto di Interesse Comune, (PCI) della Commissione europea per il 2015, mentre il sottocomitato responsabile dell’Unione europea aveva finanziato un ulteriore studio di fattibilità, inizialmente con l’importo simbolico di due milioni euro, a dimostrazione del suo reale interesse per la costruzione dell’East-Med.
Il gasdotto aumenterà la sicurezza energetica dell’U.E., poiché si stima che i bacini del Mediterraneo Orientale contengano più di 3,5 trilioni di m3 di gas naturale e 1,7 miliardi di barili di petrolio.[59]
Diventa chiaro che l’East-Med da un lato costituisce il catalizzatore qualitativo nel rafforzamento e approfondimento delle relazioni alleate tra Grecia-Cipro-Israele a lungo termine, e dall’altro svolgerà un ruolo molto importante nel trasporto della miscela energetica e l’aumento della sicurezza energetica dell’U.E., mentre lo sviluppo dell’alleanza tra Atene, Nicosia e Gerusalemme costituisce un più ampio contrappeso geostrategico per il revisionismo turco nell’area.
[1] Kayhan International, Kayhan Group of Newspapers, 2 gennaio 2016
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[51] Ibid
[52] Naftemporiki, 4 settembre 2015
[53] Cyprus News Agency, 25 novembre 2014
[54] Annuncio pubblico ufficiale ENI, 30 agosto 2015
[55] Bloomberg Agency, 2 settembre 2015
[56] CyprusNewsAgency, 2 settembre 2015
[57] Kathimerini, 30 novembre 2014
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